Mininni: “Al Macello di Baldichieri la battaglia vinta per i diritti”

L’intervista di Mauro Ravarino al segretario generale su ‘il manifesto’: “152 giorni in tenda per il contratto di categoria e più sicurezza. L’azienda aveva scelto di riprendere l’attività chiamando altri addetti emiliani, mentre gli astigiani erano in sciopero ai cancelli. Ma è scattata la solidarietà reciproca”. In 106 hanno ottenuto la qualifica prevista per l’industria alimentare

“Quella dei lavoratori del macello di Baldichieri d’Asti è per noi una battaglia emblematica che dà slancio ad altre vertenze in diversi settori contro il lavoro povero, perché caporalato e sfruttamento non avvengono solo nella maniera truculenta dell’agricoltura ma anche in modo mascherato tramite l’applicazione errata dei contratti nell’industria alimentare e agricola”. Lo sostiene Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil, con il quale ripercorriamo il valore di 152 giorni di resistenza da parte di 106 lavoratori, in gran parte stranieri (dall’Est Europa e all’Africa subsahariana), che – dopo essere finiti nelle pieghe cruente di passaggi di proprietà e cambi di appalto – il 28 dicembre hanno potuto festeggiare la firma di un accordo che riconosce loro il contratto dell’industria alimentare e non quello agricolo che volevano appiopparli. Assunti dalla cooperativa Laborapp, che gestirà l’appalto delle macellazioni per conto del gruppo Ciemme, il nuovo proprietario dello stabilimento.

Segretario Mininni, cosa insegna questa lotta, dove molti dei protagonisti sono lavoratori migranti, e cosa ha rappresentato la loro tenda rossa, diventata simbolo di resistenza?
La tenda rossa è ormai il simbolo delle lotte della Flai, l’abbiamo usata anche negli anni scorsi quando abbiamo condotto vertenze contro il caporalato nelle campagne. La usiamo soprattutto quando queste potrebbero durare molto. Qui, ha funzionato perché è diventata un punto di riferimento per i lavoratori rimasti fuori dai cancelli tutti questi mesi, il luogo dove hanno potuto ritrovarsi e decidere come dirigere questa lotta. Una lotta che ci ha insegnato come i lavoratori non italiani siano ora quelli più propensi a condurre lotte e ad autorganizzarsi, lo verifichiamo in agricoltura ma anche nei macelli. Ed è un elemento di riflessione sindacale e non solo. In questo Paese capitalistico, dove la ricchezza viene creata dal lavoro, il mondo del lavoro ha perso la sua centralità nella società.

La lotta di Baldichieri d’Asti è nata da un moto di dignità. Cos’è stato a smuoverlo?
Volevano applicare, ovviamente per risparmiare, a macellatori che lavorano in un impianto industriale il contratto degli operai agricoli (prima ancora dell’artigianato alimentare), non riconoscendo né la mansione né la professionalità. Ecco il moto d’indignazione che testimonia come in Italia esistano problemi salariali e di lavoro povero, dovuti sia ai contratti pirata, firmati con sindacati di comodo, sia allo shopping contrattuale. Ovvero quando le aziende scelgono – in modo incoerente rispetto a quello che svolgono i dipendenti – quale contratto applicare. È questo il caso, ma ciò avviene anche nella competizione sfrenata e al ribasso tra grandi gruppi industriali dell’industria alimentare, ai danni di lavoratori che, seppure operino negli stessi ambiti, vedono fortemente ridotta la busta paga. È un problema su cui devono intervenire le istituzioni: Ispettorato del lavoro e Inps, però, non dicono nulla.

La vertenza è stata dura e complicata, in mezzo c’è stata anche un’indagine giudiziaria della Procura nei confronti dei vecchi proprietari del gruppo AlPi (sotto inchiesta per evasione fiscale e intermediazione illecita di manodopera). Quali sono stati i momenti più difficili?
Quando è subentrata la Ciemme, l’azienda ha scelto di riprendere l’attività chiamando altri addetti da macelli emiliani, mentre i lavoratori astigiani erano in sciopero ai cancelli. È, però, successo che – durante il sit in – ci sia stato un incontro e confronto tra i diversi lavoratori, che hanno fatto scattare una solidarietà reciproca. Così, gli operai esterni si sono rifiutati di prendere servizio e non ci sono state più le condizioni per andare avanti in questo modo. È stato un momento di difficoltà che è stato sindacalmente ben gestito e che ha dato nuova forza alla lotta. E ha, inoltre, innescato una solidarietà diffusa in tutta Italia attraverso l’istituzione di un fondo di resistenza per sostenere questa giusta battaglia e i suoi protagonisti, senza stipendio per troppo tempo.

I lavoratori riprenderanno servizio domani. L’accordo del 28 dicembre ha modificato l’organizzazione del lavoro. In che termini?
L’organizzazione è stata rivista perché prima aveva ritmi e turni massacranti, in condizioni disagevoli. Adesso, oltre all’aumento salariale, ci saranno carichi più leggeri, garantendo più salute e più sicurezza. Ci sarà un inquadramento delle persone e un riconoscimento della loro professionalità, che deve assolutamente essere riconosciuta e solo il contratto dell’industria alimentare può farlo. D’altronde, il lavoro di macellatore bisogna saperlo fare, altrimenti si rovina il pezzo di carne e di conseguenza il ciclo produttivo. Dall’esito di questa vicenda, ci auguriamo trovino linfa altre lotte.

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