Giuseppe Di Vittorio, una vita al servizio dei lavoratori

con il cuore puro e le mani pulite

L’11 agosto del 1892 nasceva a Cerignola Giuseppe Di Vittorio. 

Fu da bracciante e tra i braccianti che compì le sue prime esperienze di lotta. Durante tutta la sua vita e la sua attività da dirigente sindacale mantenne con i lavoratori della terra e con le loro aspirazioni un legame fortissimo, che si tradusse nella necessità di saldare in un unico fronte di lotta tutti i lavoratori occupati e disoccupati, braccianti e operai, per la conquista di migliori condizioni di lavoro e di vita.

Di lui Luciano Lama dirà «bracciante di Puglia e tale restò. Può sembrare eccessiva un’affermazione così perentoria a chi lo ha ascoltato parlare su una piazza, a chi ha letto i suoi articoli, i suoi saggi, i suoi discorsi, anche dedicati a problemi di alta cultura; ma chi lo ha conosciuto davvero, chi ne ha studiato e scoperto l’anima più vera sa che le esperienze dure e crudeli dei suoi primi anni di vita familiare e di lavoro come zappatore, le esperienze dell’impegno politico di classe e antifascista a difesa dei lavoratori pugliesi e della loro dignità di uomini hanno impresso sulla sua personalità un solco indelebile, lo hanno formato definitivamente, come uomo e come combattente operaio.

In tutti i momenti della sua vita, anche in quelli che possono suscitare interrogativi o riserve nel nostro giudizio di oggi, per comprendere a pieno le ragioni che lo spinsero a un comportamento determinato, occorre risalire alla sua origine di bracciante, alla sua esperienza di combattente a Cerignola, a Foggia, a Bari. […] Nato e cresciuto fra i braccianti, fra i lavoratori di Puglia, ne assume fin da ragazzo la rappresentanza e la difesa con l’ostinazione e l’intransigenza che il duro destino della nostra classe richiedeva e richiede». 

Non dimenticò mai le sue origini, mai dimenticò i compagni della sua prima adolescenza. 

A La Spezia, in occasione del sessantesimo anniversario il 10 agosto 1952, Giuseppe Di Vittorio con il cuore gonfio di commozione, gratitudine e riconoscenza, ricorderà che in quello stesso giorno si doveva festeggiare anche il giubileo della classe operaia italiana. 

«Io non sarei stato nulla» – dirà – «io non sarei stato tratto mai dalla massa anonima dei miei fratelli lavoratori, dei miei fratelli braccianti di Cerignola […] se non fosse esistito, se non si fosse sviluppato, se non avesse lottato il movimento operaio organizzato. […] Ragazzo bracciante semi-analfabeta, figlio di braccianti analfabeti, certo nessuno avrebbe potuto pensare, senza il movimento operaio organizzato, che qualcuno da quella massa potesse emergere. È vero, io ho avuta una inclinazione istintiva, naturale, allo studio: ma qui, davanti a voi, debbo confessare che lo stimolo più potente a studiare, a ricercare, mi è venuto dalle esigenze, dai bisogno quotidiani del nostro movimento, dei nostri primi circoli giovanili, dei nostri primi sindacati, avevamo bisogno di comprendere per uscire dallo stato di abbrutimento e di umiliazione in cui erano tenuti i lavoratori e conquistarci un destino migliore». 

In quella stessa occasione, Sandro Pertini interverrà a nome della direzione del Partito Socialista Italiano: «Per l’amico Di Vittorio la politica non è mai stata un trampolino per le sue ambizioni personali. Egli non è di quegli uomini che pensano di diventare senatori o deputati: è un uomo che ha sempre pensato di sacrificarsi per la causa del proletariato pronto a pagare di persona. È l’uomo che ha sempre anteposto la causa delle classi lavoratrici a se stesso, che ha sempre pensato che la politica deve essere fatta con il cuore puro e le mani pulite, che essa non è mestiere ma una missione. 

La vita del compagno Di Vittorio deve essere di esempio a tutti noi. […]

Possa l’amico Di Vittorio vivere tanto da vedere anche la classe lavoratrici italiana tutta protesa a costruire una nuova società basata sul lavoro, guidata dai principi eterni della libertà e della giustizia […] Finché la classe lavoratrici italiana avrà alla sua testa uomini come Giuseppe Di Vittorio, non solo non deve disperare, ma deve essere certa del suo domani».

Valeria Cappucci

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