Fucino, lavoratore ferito e abbandonato. Flai: Subito una vertenza dei braccianti della Piana

«Non è più sopportabile assistere a quanto oggi accade in questo territorio, dove i lavoratori e le lavoratrici vengono sottoposti a condizioni lavorative e di vita insostenibili in forza del loro stato di bisogno», scrivono il segretario Cgil L’Aquila Marrelli e il segretario Flai L’Aquila Antonetti in una nota congiunta

In seguito al grave infortunio sul lavoro ai danni di un bracciante marocchino, abbandonato davanti all’ospedale di Pescina, in provincia dell’Aquila, con una gamba lacerata da uno dei mezzi agricoli impiegati durante la raccolta delle carote, sono emerse le condizioni di grave sfruttamento e di precarietà di vita in cui lavoratori e lavoratrici del Fucino versano attualmente.

Più specificamente, si tratta di lavoratori «assoggettati ad un sistema di caporalato, in alcuni casi anche involontario, che costringe le persone a prestare attività lavorativa, spesso a cottimo, senza dispositivi di sicurezza, e con una retribuzione di gran lunga inferiore a quella prevista dalla contrattazione nazionale e provinciale», come si legge in una nota diramata oggi e firmata dal segretario Cgil L’Aquila Francesco Marrelli e dal segretario Flai L’Aquila Luigi Antonetti.

«Parliamo di braccianti e migranti – proseguono Marrelli e Antonetti – che lavorano in nero, senza alcuna garanzia contrattuale, come accaduto al bracciante marocchino che, proprio in questi giorni, con coraggio, ha denunciato l’infortunio subito e la situazione nella quale si è trovato a vivere e a lavorare non appena arrivato in Italia. In questo caso, il lavoratore è riuscito a denunciare l’accaduto perché sostenuto, sia per la pratica relativa all’infortunio, sia per le condizioni di sfruttamento sofferte, dalla Flai Cgil e dai legali convenzionati con la Cgil dell’Aquila. Infatti, nei prossimi giorni, verranno attivate tutte le vie, amministrative e giudiziali, a tutela del lavoratore e dei suoi diritti ripetutamente violati».

Flai e Cgil dell’Aquila, già in precedenza, avevano pubblicamente denunciato le gravi condizioni lavorative e di vita dei braccianti del Fucino e il sistema di caporalato radicato in quel territorio, che impone ritmi ed orari di lavoro insostenibili, bassi salari, cottimo lavorativo, misure di sicurezza inadeguate, condizioni queste, tutte, che spesso generano anche una concorrenza sleale ai danni di quelle imprese che, invece, non intendono violare la legge.

«Non è più sopportabile assistere a quanto oggi accade nel Fucino – scrivono ancora Marrelli e Antonetti – dove i lavoratori e le lavoratrici vengono sottoposti a condizioni lavorative e di vita insostenibili in forza del loro stato di bisogno. Si pensi che, in molti casi, queste persone sono costrette anche a pagare qualcuno che li porti nei campi a lavorare. Questa situazione configura uno sfruttamento, e cioè la sopraffazione del “capo” su persone che, proprio a causa dello stato di bisogno in cui versano, non hanno modo di difendersi».

«Per queste ragioni – proseguono i segretari – è necessario oggi avviare una vertenza dei braccianti del Fucino, denunciando le condizioni lavorative e di vita in cui gli stessi versano dal momento in cui mettono piede in Italia. È altresì necessario mettere i braccianti in condizione di superare la paura, denunciando le loro reali condizioni. Perciò, bisogna costituire una comunità d’intenti finalizzata a costruire un sistema di protezione per queste persone, attraverso l’instaurazione ed il rafforzamento di un legame sempre più stretto tra parti sociali, istituzioni ed enti locali, con il coinvolgimento anche delle associazioni datoriali, le quali, per prime, devono mettere in campo una politica di esclusione dal mercato di tutte quelle imprese che scientemente violano la legge ai danni dei braccianti. Infatti, se davvero intendiamo difendere questi lavoratori e lavoratrici, bisogna partire dal controllo del meccanismo domanda/offerta di lavoro, che contrasti fattivamente l’attuale sistema di caporalato imperante».

«È, poi, necessario – chiosano Marrelli e Antonetti – ripristinare e salvaguardare il diritto al lavoro di qualità e il diritto al salario giusto per i braccianti, applicando, sul posto di lavoro, tutte le misure di sicurezza adeguate. Inoltre, i braccianti devono anche essere messi in condizione di raggiungere il luogo di lavoro senza essere sottoposti ad alcun ricatto, ed cioè alla circostanza per la quale chi non paga resta a casa, senza poter lavorare. Bisogna, in ultimo, aprire una discussione seria sul diritto all’abitare, che, dall’effettiva applicazione, determina un’altra serie di diritti, tra i quali, solo per citarne alcuni, il diritto a curarsi, il diritto a percepire la disoccupazione agricola, il diritto al rinnovo del permesso di soggiorno, tutti per l’appunto legati alla residenza. La nostra vertenza deve diventare una battaglia comune che riguarda un intero territorio che, attraverso il riconoscimento dei giusti diritti della persona e del lavoro, nel rispetto della legalità, possa diventare inclusivo, attrattivo e, soprattutto, sicuro per tutti e per tutte».

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