Kulwant Toor, sottratto alla schiavitù con l’aiuto della Flai: Siate coraggiosi, denunciate chi vi sfrutta

Kulwant Toor, sottratto alla schiavitù con l’aiuto della Flai: Siate coraggiosi, denunciate chi vi sfrutta

Oggi ha una casa, a breve inizierà a lavorare con un contratto regolare. A lungo, però, la vita in Italia del giovane indiano è stata lavoro nero, sfruttamento e condizioni di vita indicibili. Fino a quando, grazie anche al sostegno del sindacato, ha deciso di denunciare il suo caporale

«Quando l’ho visto per l’ultima volta aveva otto mesi. A marzo mio figlio compirà tre anni. La più grande invece ne farà quattro fra poco». Kulwant Toor, 36enne nato e cresciuto in India nella regione del Punjab, a stento trattiene la propria emozione mentre ci parla dei suoi bambini e dell’odissea che ha dovuto affrontare una volta arrivato nel nostro Paese.

Kulwant oggi ha una casa, a breve inizierà a lavorare in un’azienda alimentare con un regolare contratto, fra qualche mese si imbarcherà su un volo che gli permetterà di riabbracciare la compagna, i figli. Per oltre un anno e mezzo, però, la sua vita in Italia è stata lavoro nero, sfruttamento e condizioni di vita indicibili. Fino a che, grazie anche al sostegno della Flai Cgil Veneto, ha deciso di denunciare il caporale che teneva lui e altre decine di braccianti in stato di schiavitù nelle campagne del trevigiano, dando avvio ad un’inchiesta della procura di Treviso e ottenendo finalmente il permesso di soggiorno.

«Tutto inizia quando ho dovuto chiudere il ristorante che avevo in India, un locale da 16 posti che non ha retto all’urto del Covid – ricorda Kulwant -. Non riuscivo più a mantenere la mia famiglia. A quel punto incontro una persona che mi propone di andare in Italia e mi promette che avrei ottenuto un lavoro. Decido di pagare e partire».

Quando il giovane indiano arriva a Roma, nel dicembre del 2022, è pieno di sogni e di speranze. Ma tutte quante evaporano alla svelta. «Dopo giorni di attesa – ci dice Kulwant – nessuno mi porta a fare i documenti e il fantomatico datore di lavoro che mi avrebbe dovuto aspettare non si presenta. Decido dunque di spostarmi verso l’Agro Pontino e poi nella zona di Paestum, in Campania. Lì lavoro in un allevamento di bovini. Dopodiché vado ad Ancona, sempre a lavorare in una stalla, sempre in nero».

Le condizioni di vita e di impiego non sono semplici, ma a convincere Kulwant che le cose possono cambiare ci pensa Tik tok: «In quel video – racconta – veniva spiegato come ottenere il titolo di soggiorno a fronte del pagamento di 5mila euro. La pratica era descritta come veloce e sicura. Così scelgo di fidarmi. Siamo a novembre del 2023, non parlavo ancora bene l’italiano. L’intermediario ci dice che per ottenere i documenti dobbiamo subito andare a lavorare nei campi, nel trevigiano in Veneto».

Una volta giunti in campagna, i lavoratori vengono ammassati in un casolare nella zona di Ponte di Piave (Tv) in condizioni igienico-sanitarie infime. «Eravamo 50-60 persone, con cinque camere da letto e un solo bagno, senza acqua calda – rammenta Kulwant -. Mangiavamo una volta al giorno, sempre e solo cipolle, pane e patate. Lavoravamo fino a 12-14 ore al giorno, a partire dalle 5 del mattino, per sei euro l’ora che però non abbiamo mai visto. Dopo cinque mesi per fortuna trovo un altro video su Tik tok. Stavolta è girato dalla Flai Cgil di Frosinone Latina. Si tratta di una testimonianza di altre persone sfruttate come noi».

A quel punto, grazie al social, Kulwant e un gruppo di suoi colleghi entrano in contatto con la segretaria generale Flai di Frosinone Latina Laura Hardeep Kaur, che subito si rivolge al segretario generale del Veneto, Giosuè Mattei.

«Giosuè e Laura, sin dal primo giorno, ci hanno aiutato, trattandoci come fratelli – ci dice il ragazzo indiano -. Prima ci hanno portato coperte, cibo e vestiti, poi sostenuto nell’azione legale contro chi ci stava sfruttando. La Flai Cgil ha cambiato la nostra vita, è grazie al sindacato se oggi viviamo in condizioni dignitose e abbiamo la possibilità di lavorare in regola».

Una possibilità ancora negata a tanti ragazzi e ragazze, lavoratrici e lavoratori come Kulwant, che proprio per questo motivo lancia un appello: «Quando si emigra in altro Paese senza conoscere la lingua e le leggi del posto è sempre molto difficile. Se in questo momento vi trovate nella situazione in cui mi trovavo, non abbiate paura, siate coraggiosi, mettetevi in contatto con la Cgil, denunciate i vostri aguzzini. Non perdete la speranza. Le cose possono cambiare». Kulwant, con la sua testimonianza, è qui a dimostrarlo.

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