Mininni: “La progressiva scomparsa delle piccole aziende agricole è un pericolo per ambiente e biodiversità”

In quarant’anni in Italia si è dimezzato il numero delle imprese che operano in agricoltura. Mentre la loro dimensione media è più che raddoppiata. Sono i trend che Fondazione Metes ha individuato a partire dai dati dell’VII Censimento agricolo dell’Istat. Tendenze che il segretario generale della Flai Giovanni Mininni definisce “preoccupanti”

Crollo del numero totale delle aziende agricole, in calo del -64%. Aumento vertiginoso della dimensione media aziendale, di oltre il 116%. Sono le dinamiche relative al periodo 1982 – 2020, una quarantina d’anni, che la Fondazione Metes ha evidenziato elaborando i dati del VII Censimento agricolo dell’Istat. Trend che il segretario generale della Flai Giovanni Mininni definisce “preoccupanti”, in quanto mettono in luce “il prevalere del modello industriale nell’agricoltura italiana, con una marcata tendenza all’accentramento economico e strutturale”. E l’affermazione di tale modello, commenta Mininni, conduce ad una “progressiva scomparsa delle piccole aziende e all’abbandono delle zone rurali montane e collinari”. Ciò produce effetti a cascata su “manutenzione del territorio, tutela della biodiversità e delle risorse naturali, salvaguardia delle aree interne e delle tradizioni culturali del nostro Paese – aggiunge Mininni – considerando il ruolo cruciale rivestito dai piccoli agricoltori rispetto a questi fattori”.

Nel frattempo – segnala ancora Metes nella sua nota – nel periodo tra il 2010 e il 2020, la manodopera familiare – pur restando la principale componente della forza lavoro in ambito agricolo – si è dimezzata, a vantaggio del lavoro salariato che è cresciuto del 47%.

In sintesi: il paradigma delle piccole aziende agricole sta venendo sempre di più soppiantato da quello dell’agricoltura industriale di larga scala.

Una brutta notizia anche per la lotta al climate change e per quella in difesa dell’ambiente, dato che “la persistenza di un paradigma di agricoltura capitalistica basata sull’uso predatorio delle risorse naturali e sulle produzioni di tipo intensivo rappresenta uno dei principali crocevia da affrontare se si vuole davvero invertire la rotta dei cambiamenti climatici”, puntualizza ancora Mininni.

Se si è arrivati a questo punto è anche a causa delle politiche di Bruxelles. “Le riforme della Pac (Politica agricola comune, ndr) che si sono susseguite negli anni sono il risultato di una costante assimilazione anche nelle politiche agricole dei principi neoliberisti che oggi caratterizzano le scelte economiche e finanziarie dei governi mondiali” si legge nella nota della Fondazione. Nel mirino, in particolare, c’è “la scelta di disaccoppiare il sostegno fornito dalla Pac dalla qualità e dalla quantità della produzione assunta con la riforma del 2003”, una riforma che, “lungi dal generare gli auspicati effetti ambientali positivi, ha, viceversa, sancito la vittoria del mercato anche nel settore agricolo”.

Pesa, inoltre “la mancanza di una politica agricola nazionale italiana” e “la bassa propensione all’associazionismo delle aziende agricole italiane”. Secondo l’ultimo censimento agricolo solo il 28% delle aziende agricole italiane è associata o parte di un soggetto organizzato, il 17,7% fa parte di una organizzazione dei produttori (Op), lo 0,9% ha sottoscritto un contratto di rete. Mentre proprio “politiche di aggregazione e cooperazione” potrebbero essere, commenta il segretario Mininni, “una risposta ai problemi che riguardano la scarsa equità di distribuzione del valore riequilibrando il potere di mercato tra gli attori della filiera agroalimentare”.

D’altronde, chiosa Mininni “anche le recenti ‘proteste dei trattori’ segnalano l’esigenza di risposte strutturali e strategiche ai problemi del settore, per anni messi sotto al tappeto dalla politica, fermo restando che per la Flai è prioritario che non si indietreggi sulle politiche green, sulle nuove misure della Pac che limitano l’agricoltura intensiva ed è fondamentale la piena attuazione della condizionalità sociale”.

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