Assenza di manodopera in agricoltura? In Puglia in 6 anni persi quasi 30mila lavoratori, l’allarme della Flai Cgil

Servono almeno 100mila operai all’agricoltura italiana, un quinto di questi solo in Puglia. È il grido d’allarme che lanciano da giorni associazioni di categoria e aziende. “Nella nostra regione registriamo un costante calo di iscritti agli elenchi Inps, se c’è un problema di reperibilità di manodopera nel settore, perché non si discute ai tavoli istituzionali preposti, a partire dalle sezioni territoriali della Rete del Lavoro Agricolo di Qualità (ReLAQ), previste dalla legge 199/2016 e istituite in Puglia in tutte e sei le province”, chiede in una nota il segretario generale della Flai Cgil Puglia, Antonio Gagliardi. 

“Poca manodopera a causa di diritti negati e sottosalario”

La discussione si è sviluppata soprattutto attorno alla manodopera straniera e agli eventuali ingressi. “Perché non ragioniamo su regolarizzazioni di chi è già presente in Italia, spesso da anni, di quei braccianti extracomunitari invece costretti a nascondersi nei tanti ghetti dispersi nelle campagne pugliesi? chiede Gagliardi. In ogni caso, se fosse vera la difficoltà a reperire lavoratori agricoli, per la Flai Puglia due sarebbero le principali ragioni: “La scarsa attrattività per un lavoro fortemente sottopagato e il trasporto. La stragrande maggioranza delle aziende agricole non hanno mai pensato di attrezzarsi autonomamente sul tema del trasporto. Spesso si sono affidate, nella migliore delle ipotesi, ad agenzie di ‘colletti bianchi’ che muovono per centinaia di chilometri la manodopera, anche fuori regione. Migliaia di braccianti che alle tre del mattino salgono sui pullman gran turismo, specie nel caso di lavoro femminile. Il costo? Dieci o quindici euro a seconda della distanza, ovviamente, decurtato dalla paga giornaliera. Sotto questo aspetto, si è sempre omesso un impegno che portasse alla definizione di una strategia di sistema tra trasporto, luogo di lavoro, retribuzione”.

Elenchi Inps, i dati della Puglia: quasi 8mila lavoratori in meno

Intanto a leggere i dati Inps non corrisponde a verità il presupposto per il quale gli operai in agricoltura sarebbero prevalentemente extracomunitari. “Come ogni anno, allo scadere del mese di marzo, l’Istituto pubblica gli elenchi annuali degli operai e delle giornate svolte”, ricorda Gagliardi. Nel 2022 l’Istituto di previdenza ha certificato che la manodopera agricola, ancora una volta, risulta in riduzione rispetto all’anno precedente: meno 7.725 unità e questo un dato estremamente significativo che merita una prima analisi più approfondita: si passa da 164.550 a 156.825 addetti. I lavoratori stranieri risultano addirittura in leggero aumento, passando da 34.264 a 34.500. Le etnie principali continuano ad essere, in valore assoluto quella rumena (7.983), albanese (6.172), marocchina (3.413), bulgara (2.247), senegalese (2.023), nigeriana (1.718), e poi maliana, gambiana, indiana, ecc. “Questo dato, tuttavia, non deve trarre in inganno – evidenzia la Flai – l’attività repressiva che ha ripreso impulso con la legge 199/2016, la legge anticaporalato, per intenderci, funziona e non passano settimane senza che vi siano arresti. Infatti, un minimo di emersione dal grigio e dal nero di forza lavoro preesistente sembra essere garantita, sebbene si debba fare di più. Manca tutta la parte degli invisibili, manca il censimento di quelle braccia che sfuggono alla casistica legale. Manca insomma tutta quell’attività di prevenzione e proposizione di buone pratiche da sostanziare attraverso le sezioni della ReLAQ di cui parlavamo prima”. 

In sei anni persi quasi 30mila braccianti

“Ancora una forte riduzione si conferma per il 2022 – continua Gagliardi – che preoccupa sempre più tutti gli attori del settore”. Negli ultimi 6 anni la nostra regione ha perso 28.750 braccianti, passando da 185.573 operai agricoli a 156.825 appunto, con un calo generalizzato e con punte di -2.000 unità in alcune province: In provincia di Foggia sono iscritti agli elenchi 39.855 operai (-2.055), a Bari 34.464 (-1.976), seguono Brindisi 21.018 (-1.178), Lecce 18.137 (-982), Bat 17.878 (-801) e Taranto 25.473 (-733). Il costante e corposo calo degli addetti che registriamo negli ultimi anni ha diverse ragioni: un diffuso sottosalario, l’attività ispettiva mirata a scovare i lavoratori fittizi, un forte impiego nel 2022 di manodopera agricola prestata all’edilizia dovuto al bonus 110, sono solo alcune concause facilmente individuabili. Un calo, anche se contenuto, si registra rispetto al numero di giornate dichiarate complessivamente, pari a 15 milioni 320 mila circa (-323 mila), delle quali 3 milioni 222 mila (circa il 21% del totale) sono quelle lavorate da manodopera straniera (+128.900). “La riduzione delle giornate non in proporzione al calo degli addetti è anch’esso segno di una maggiore attenzione al concetto di lavoro regolare da parte delle attività ispettive e al fatto che molte aziende cominciano a comprendere che è svantaggioso utilizzare il sistema del caporalato agricolo”, spiega Gagliardi. Un capitolo a parte meriterebbe il lavoro di genere nel settore: la manodopera femminile rappresenta il 38,6% del totale degli addetti (60.669 unità); il maggiore addensamento di questa tipologia di lavoro lo riscontriamo tra le 101 e 150 giornate annue con circa 22.700 lavoratrici, segue la fascia tra 51 e 100 giornate con 15.700 lavoratrici.

Cresce meccanizzazione, serve investire in formazione e qualificazione lavoro

I processi di modernizzazione sono in costante aumento anche nel Meridione: le grandi raccolte stagionali, come quelle che si svolgono nel Foggiano ed in altre aree della regione, risentono di una crescente meccanizzazione che fanno diminuire la necessità di manodopera impiegata nelle raccolte massive. “La digitalizzazione dei processi produttivi di alcune aziende prossime all’agricoltura 4.0 mettono in evidenza quanto terreno debbano recuperare quelle più arretrate, che sono la maggior parte, ma anche la necessità di poter contare su manodopera sempre più qualificata. Da questo punto di vista come sindacato dobbiamo lavorare affinché ogni processo evolutivo consideri fondamentale la formazione per difendere l’occupazione e preparare l’intera manodopera alla transizione dall’analogico al digitale. Il rischio che corriamo è l’espulsione degli anziani prima ancora che possano giungere al riposo lavorativo. Un processo lento ma già presente”.   

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