Siamo uomini o caporali? Stop a un sistema che sfrutta e uccide

Un caporale non è un uomo, perché la pietà gli è rimasta in tasca. Per soldi chiude gli occhi alle pur minime esigenze dei suoi fratelli, e si approfitta in ogni modo di chi per tanti motivi è in difficoltà ed ha un estremo bisogno di lavorare. Le strade di Latina, plastico esempio di architettura razionalista, si tingono di rosso fin dal primo mattino. La Cgil non dimentica Satnam Singh, gravemente ferito sul lavoro e abbandonato come un sacco di rifiuti davanti alla sua baracca invece che portato in ospedale. Una tragedia che ha fatto il giro del mondo, e che ha suscitato la generale indignazione della società e anche della politica italiana. La Flai Cgil è al completo, compagne e compagni arrivati da tutta Italia sfilano dietro lo striscione ‘Basta sfruttamento’. Ci sono anche le ‘brigate del lavoro’, quelle che fanno sindacato di strada nei fertili campi dell’Agro Pontino. Dormono poco, la sveglia è ben prima dell’alba, ma loro sono uomini, non caporali. Tutte le categorie della confederazione, dai giovanissimi del Nidil ai sempreverdi dello Spi, sono a Latina per dire come fa dal palco il segretario generale, Maurizio Landini: “Fermiamo un sistema che sfrutta e uccide in tutto il paese, in tutti i settori”. Lotta permanente contro lavoro e caporalato. Il volto stilizzato del migrante trentunenne che si sarebbe potuto salvare campeggia su una grande bandiera, emblema di migliaia e migliaia di storie di sfruttamento. Le statistiche dicono che sono tre milioni le lavoratrici e i lavoratori in nero nella penisola, una parte di loro arriva qui con mezzi di fortuna, un’altra viene illusa dal cosiddetto decreto flussi di avere un impiego regolare. Lavoro che poi, passati i sei mesi, al massimo un anno invariabilmente sparisce. O meglio, diventa una forma di ricatto: o fatichi alle mie condizioni, o non ti pago (in nero), comportamento di tanti, troppi ‘imprenditori’ non solo del settore agricolo. Se non ci stai diventi clandestino, allora vengono in mente le note e le parole, tanto amare quanto realistiche, di una bella canzone di Manu Chao. “Perso nel cuore della grande Babilonia mi dicono clandestino per non avere documenti”. 

‘Cancellare la Bossi-Fini’ c’è scritto su cartello della Flai, togliere di mezzo una legge ignobile, inumana, e utile solo a creare un ‘esercito di riserva’ pronto a qualsiasi lavoro pur di sbarcare il lunario. Sono arrivati qui a Latina da Treviso anche un gruppo di lavoratori indiani contrattualizzati, loro si sono rivolti al sindacato e alla fine hanno visto riconosciuti i proprio diritti. Ma tanti, tantissimi migranti non hanno avuto la stessa sorte. Dopo l’omicidio di Satnam polizia e carabinieri stanno battendo le campagne scoprendo invariabilmente situazioni indegne. Se continuassero (ma non lo faranno), le cronache dei quotidiani ne avrebbero da raccontare. Del resto le promesse dei governi, non solo di quest’ultimo, lasciano il tempo che trovano. “Dobbiamo estirpare la piaga del caporalato, abbiamo bisogno di tanti nuovi ispettori per rafforzare i controlli. Nel Pnrr sono stati stanziati 200 milioni per rimuovere gli insediamenti abusivi nei campi eppure non è stato fatto nulla”, dice Landini in piazza della Libertà. Il teste chiave dell’inchiesta, Ramesh K., che ha portato all’arresto dell’imprenditore Antonello Lovato, non ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi giudiziari, e ora, clandestino tra i clandestini, teme ritorsioni. Questa è l’Italia reale, nell’anno di grazia 2024. 

Anche Lovpreet Sandhu, lavoratore agricolo del ricco nordest, sale sul palco e racconta: “Veniamo traditi prima dai caporali e poi dalle aziende. Sogniamo un permesso di soggiorno ma tutti si approfittano di noi. Abbiamo lavorato dieci ore al dì, in tutta la provincia di Treviso, anche senz’acqua. E alla fine non ci hanno pagato”. Risponde Landini: “Dobbiamo aprire una vertenza permanente contro il caporalato in ogni luogo di lavoro. Sarà il modo migliore per ricordare Satnam. Satnam, diciamolo, non è un caso isolato, non parliamo solo di un cattivo imprenditore che lo ha fatto morire. Questo è un sistema di fare impresa che sfrutta e uccide e riguarda tutti i settori del nostro Paese, non solo Latina. Lo Stato deve riconoscere il permesso di soggiorno per chi cerca lavoro”. La manifestazione finisce sulle note di quello che da quasi sessant’anni è diventato un inno di civile protesta “…sapesse contessa quei quattro straccioni”…

Il video-racconto della manifestazione su Collettiva

Lotta permanente contro il caporalato

Il commento

L’intervento dal palco di Lovpreet Sandhu

Sulla strada dei diritti

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