Mininni: “Con le destre non tira un buon vento per l’Europa. E la pace è un valore sempre più lontano”

L’intervista al segretario generale della Flai su ‘Il diario del lavoro’

È da Caserta, dove si è da poco conclusa la VI edizione del premio Jerry Masslo organizzato dalla Flai-Cgil, per ricordare il migrate sudafricano ucciso 35 anni fa, che il segretario generale della categoria, Giovanni Mininni, rilancia con forza la vocazione di sindacato di strada della Flai, attraverso Diritti in campo e le brigate del lavoro, per portare la cultura della legalità in tutte le realtà lavorative. L’incontro di Caserta è stata anche l’occasione per parlare di Europa, immigrazione, pace e lavoro.

Segretario Mininni la VI edizione del premio Jerry Masslo pone al centro la questione migratoria. Come va declinata oggi?

Il premio Jerry Masslo ricorda un migrante assassinato nel 1989 che fuggiva dall’apartheid del Sud Africa. La sua morte sollevò un forte movimento anti razzista e si arrivò alla legge Martelli. Nel ricordarlo vogliamo rilanciare la speranza di ricostruire una coscienza collettiva che si opponga alle discriminazioni razziali e accendere un faro sulla condizione dei migranti, che sono l’anello più debole del mondo del lavoro e nel settore agricolo, spesso vittime di sfruttamento e caporalato. Inoltre chiediamo che il fenomeno dell’immigrazione si affrontato senza l’ideologia razzista di questo governo, ma leggendolo come una delle soluzioni per affrontare l’inverno demografico che sta vivendo l’Italia. Quindi dobbiamo pensare a serie politiche di accoglienza e non a costruire lager in Albania, a integrare gli immigrati e avviarli al lavoro. Per questo insistiamo nella cancellazione della Bossi-Fini, che ha sempre avuto una impostazione securitaria e che si muove all’opposto della legge Martelli, e che nessun governo, compresi in particolare quelli di sinistra, ha cancellato. La Flai è riuscita a ottenere 200 milioni dal Pnrr per la cancellazione dei ghetti. A fine aprile il governo, attraverso una legge, doveva istituire un commissario (martedì scorso il governo ha provveduto a nominare il commissario n.d.r.) per aiutare le amministrazioni a spendere le risorse. Sono passati più di due mesi e ancora non c’è nulla. Stiamo notando che molti comuni, specialmente di centro destra, stanno rifiutando queste risorse. Il nostro timore è che questo dilazionare i tempi sia stato fatto ad arte per poi collocare all’ultimo momento questi 200 milioni su altro.

C’è poi la questione della sicurezza, trasversale a tutto il mondo del lavoro e con drammatica urgenza al lavoro dei migranti.

La sicurezza è centrale nell’agenda della Flai e della Cgil. Con il premio Jerry Masslo, la Via Maestra e tutte le altre manifestazioni vogliamo denunciare come l’attuale modello di sviluppo, fatto di appalti a cascata, precarietà, caporalato, sta producendo una media di tre morti al giorno, svilendo il valore della persona e del lavoro per sacrificarli sull’altare del profitto.

È partita la raccolta di firme da parte della Cgil per i referendum. Come si declinano nella categoria che rappresentate?

I quattro referendum trovano attuazione nella categoria, perché nell’agricoltura e nell’industria alimentare ci troviamo davanti a una spaccatura generazionale tra chi è tutelato dall’articolo 18 e chi non lo è. Inoltre la necessità di intervenire contro la precarietà e gli appalti sta emergendo non solo nel settore agricolo ma anche in alcune imprese di trasformazione dove stiamo facendo assemblee per richiamare la responsabilità dell’azienda madre su questi fenomeni.

Quali sono i prossimi appuntamenti contrattuali che attendono la Flai?

Stiamo portando avanti diverse trattative. Speriamo di chiudere a giugno il contratto degli impiegati agricoli, che sono oltre 20mila. Abbiamo ancora vertenze aperte in tutte le province italiane per i contratti provinciali agricoli che sono in attesa di rinnovo e che riguardano un milione di lavoratori. Dobbiamo purtroppo riscontrare una forte rigidità da parte della controparte. Per questo lanciamo un appello a Fai e Uila per mettere in campo iniziative per sbloccare questo stallo. E anche la cooperazione agricola e il Contoterzismo sono in attesa di rinnovo. Siamo fiduciosi di ottenere buoni risultati perché ci siamo sempre mossi unitariamente con Cisl e Uil, nel rispetto delle diverse sensibilità.

Siamo alla vigilia delle elezioni europee. Che vento sta soffiando per l’Europa?

Un vento non buono per l’Europa, i suoi popoli e le lavoratrici e i lavoratori. Rischiamo di trovarci davanti al paradosso che le destre populiste e nazionaliste, che hanno sempre criticato e cercato di indebolire l’Europa, potranno avere un peso significativo nella composizione del Parlamento e della Commissione. Tutto questo aprirà delle contraddizioni forti perché, se queste forze sono coerenti con il loro programmi, l’Europa corre il pericolo di fare passi indietro.

Quali?

L’ideologia sovranista, rispetto a ciò che la destra racconta, non è proficua per la tutela degli interessi nazionali. È grazie alla dimensione collettiva europea, che ha introdotto il Recovery Fund e il Next Generation Eu, che il nostro paese ha avuto la possibilità di una via per uscire dal covid. Tutto questo non sarebbe stato possibile con nazioni che ragionano e agiscono in modo separato. Il nazionalismo è la negazione dell’Europa unita.

Che limiti imputa all’Europa?

Il principale limite dell’Europa è quello di essersi fermata unicamente sulla moneta, di aver fatto del neo liberismo l’unica visione di sviluppo e di aver posto poca attenzione alla dimensione sociale. E con la possibilità delle destre al governo sicuramente non si avanzerà su questo fronte. Continuerà a non esserci un’unica politica fiscale, si rallenterà sui diritti e verrà meno l’attenzione a uno sviluppo sostenibile e alla giusta transizione di tutti i paesi verso un futuro più attento al contrasto ai cambiamenti climatici.

Sulla Pac dove si dovrebbe intervenire?

Dopo una battaglia durata vent’anni, due anni fa è stata introdotta la clausola sociale, che sanziona quelle imprese che non applicano i contratti firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi. È un primo passo molto importante, ma si può ancora fare molto sulla PAC per vincolare gli aiuti alle imprese a un maggior rispetto del lavoro e dell’ambiente. Oggi le risorse vengono redistribuite sulla base degli ettari posseduti dall’impresa. Inoltre i processi  di aggregazione e di accentramento che sono venuti avanti negli ultimi anni, se da un lato consentono una maggiore competitività sui mercati, dall’altro mettono nell’angolo le realtà più piccole, che spesso tutelano anche la biodiversità agricola del territorio. Basti pensare che in Italia l’80% degli investimenti europei va a finire al 20% delle imprese più grandi.

Come legge il movimento dei trattori?

Il movimento dei trattori è nato come protesta contro le storture della Pac e poi, almeno in Italia, è stato strumentalizzato da una certa politica, come Forza Nuova o i Forconi. La particolarità è che è bastata la mediazione del ministro Lollobrigida, che aveva annunciato la riduzione dell’iva, più utile alle grandi imprese e non a quelle realtà che stavano realmente in difficoltà, per far evaporare la protesta. Inoltre la narrazione che il movimento era indirizzato esclusivamente contro il green new deal, e quindi al Farm to Fork e alle direttive biodiversità e per la riduzione dei pesticidi, è stata alimentata e cavalcata da una certa stampa che l’ha poi scagliata contro la Commissione europea in modo strumentale. Va detto che di fronte a tutto questo Von der Lyen, pur di essere rieletta, ha fatto marcia indietro, rinnegando molte scelte fatte in materia ambientale. Questi comportamenti sminuiscono il peso e il ruolo della politica, che invece dovrebbe seguire anche dei valori e non il semplice opportunismo.

La Cgil e anche la Flai si sono sempre battute per la pace. È una parola che oggi ha ancora valore visti i conflitti in corso?

La pace purtroppo è un valore sempre più lontano. Quando è iniziata l’aggressione dell’Ucraina noi siamo stati i primi a chiedere il cessate il fuoco, e lo stiamo chiedendo anche in Palestina. Sono conflitti diversi, ma in comune hanno la volontà di dominio e l’idea che la guerra sia l’unico strumento per la risoluzione delle divergenze. Sono molto preoccupato perché la guerra è scivolosa, imponderabile e può sfuggire al controllo delle parti belligeranti e scivolare nell’escalation. Noi stiamo già vivendo un’economia di guerra in Europa e quello che non si dice è che l’invio delle armi e la mancanza di negoziato non ha giovato al nostro continente. La retorica e la propaganda hanno ormai preso il sopravvento, e gli unici paesi che crescono sono gli Stati Uniti e la Russia, mentre l’Europa arranca. Il sabotaggio del gasdotto sottomarino, che portava gas dalla Russia a costi più bassi, ha messo in ginocchio la Germania, che solitamente traina l’intera economia continentale, ma anche l’Italia stessa che ad essa è fortemente legata, e gli Usa hanno di fatto azzoppato un mercato ricco come quello europeo che è un loro concorrente. Tutto questo senza dimenticare la perdita, su tutti i fronti, di numerose vite e il fatto che, come ci siamo subito mossi in difesa del popolo ucraino, avremmo dovuto fare lo stesso con quello palestinese perché è da anni invaso da Israele, che non riconosce lo Stato palestinese, e soprattutto perché c’è una insopportabile “asimmetria”: è vittima di una guerra condotta da un esercito armato fino ai denti contro un popolo inerme, sotto la direzione di un Governo razzista e sionista mai visto negli ultimi tempi.

Tommaso Nutarelli

L’intervista su ‘il diario del lavoro’

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