Intervista di Giovanni Mininni a Il Manifesto

«Falsità e accuse inaccettabili, il sindacato è con l’associazione»

Considerare filoputiniano chi si è battuto per riconquistare la libertà è grave. Le conseguenze delle armi le paga sempre il popolo. E per il grano pagherà l’ambiente

RICCARDO CHIARI

13 Aprile 2022

II La Flai Cgil è a fianco dell’Anpi e del suo segretario Gianfranco Pagliarulo, sottoposto ad attacchi ingiustificati che ricordano tristemente il cosiddetto “metodo Boffo”. «L’aver difeso le ragioni della pace contro la follia e gli orrori della guerra ha fatto finire l’Associazione nazionale partigiani in una supposta lista nera di filo-putiniani – sottolinea il segretario generale Giovanni Mininni – sono accuse inaccettabili e totalmente false, tanto più verso un’associazione che della riconquista e della difesa della democrazia ha fatto la ragione della sua esistenza».

Non trova che il caso degli attacchi all’Anpi sia emblematico di un clima preoccupante verso chi non vuole ‘arruolarsi’? Adoperandosi, come fra i tanti ha fatto la Cgil, per inviare aiuti umanitari ma rifiutandosi di accettare la logica delle armi?

Mi torna in mente Bertold Brecht e le sue Poesie contro la guerra, dedicate al popolo costretto a patire le decisioni dei potenti. Ogni guerra crea lacerazioni che lasciano profonde fratture nei rapporti tra i popoli e tra i governi. Si interrompono dialoghi e confronti. Quando questa follia finirà non sarà tutto come prima, e non solo nei rapporti tra Russia e Ucraina. Quasi tutti i governi europei, compreso il nostro, hanno scelto di accompagnare alla diplomazia il riarmo dei propri eserciti, con investimenti miliardari. Risorse che verranno sottratte al welfare, alla sanità, alla scuola, alla riconversione ecologica ed energetica. Insomma, a pagare sarà ancora una volta il popolo.

I moniti e gli insegnamenti del passato non sembrano aiutare i governi e i parlamenti delle più grandi nazioni europee.

Avevamo scommesso su un altro sogno, quello di quei giovani che nel 1941 a Ventotene stilarono il manifesto per “un’Europa libera e unita”. Quel sogno oggi non solo si è realizzato male perché è attuato solo in parte, ma è pure molto sbiadito rispetto alle aspettative. L’Europa anche sull’invasione dell’Ucraina, come nella guerra civile jugoslava, sta fallendo. Non è riuscita ad evitare il massacro di migliaia di civili innocenti e ha rinunciato, perché incapace di essere all’altezza, a giocare un ruolo autonomo e autorevole anche nelle trattative che potevano scongiurare l’escalation e la guerra. Comunque andrà a finire, resterà un atto scellerato ai danni di due popoli, soprattutto quello ucraino ma anche quello russo. Più in generale, quanto sta accadendo dimostra come sia stupido chiudersi nei propri confini e gonfiarsi della propria identità. I nazionalisti russi e ucraini si sono combattuti per anni in Donbass in milizie contrapposte, rivendicando la difesa della propria appartenenza ad una nazione, eppure sono della stessa etnia.

Come sempre gli effetti della guerra si riflettono sull’economia, cancellando regole e strategie di azione concordate. In nome dell’emergenza si torna indietro, e lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali uscito dalla porta torna dalla finestra.

Solo guardando al settore agroindustriale, osservo che le associazioni datoriali agricole hanno già chiesto di mettere in produzione anche quei terreni che sono fermi per i limiti alla coltivazione previsti dalla Politica agricola comune, terreni che avrebbero bisogno di periodi di riposo. La richiesta è di produrre grano tenero, mais e semi oleosi, con un maggior uso di fertilizzanti, diserbanti e acqua. Con ricadute che andranno analizzate attentamente, anche sotto il profilo della sostenibilità ambientale. Una scelta sbagliata, perché per rispondere all’emergenza si farebbe un bel salto indietro, consegnando nuovamente tutta l’agricoltura a un modello di produzione di tipo industriale, con l’ipersfruttamento dei terreni e del territorio.

 

 

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