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Un anno dopo Satnam, dieci dopo Paola

Un anno dopo Satnam, dieci dopo Paola

Sono trascorsi dieci anni dalla morte di Paola Clemente, un anno da quella di Satnam Singh. Due anniversari che non solo dobbiamo ricordare, ma che ci devono dare forza per continuare ad organizzare le persone che lavorano e sviluppare ancor di più la nostra azione a difesa dei diritti e della dignità di chi lavora nei campi. Non vogliamo più dover piangere dei morti per il mancato rispetto delle norme di sicurezza.

A dodici mesi dall’omicidio di Satnam, poco è cambiato. Dobbiamo registrare un anno di completa assenza di confronto e di risposte da parte del governo, che abbiamo sollecitato ad un incontro che si svolgerà il 31 luglio. I controlli sono ancora pochi e manca un’azione complessiva a difesa di chi lavora nei campi e in tutti i luoghi di lavoro. Ci siamo recati a Foggia, nei ghetti di Borgo Mezzanone e Torretta Antonacci, insieme ai segretari generali della Ces e dell’Effat, a parlamentari europei e italiani e ad un funzionario del gabinetto della vice presidente della Commissione europea Roxana Minzatu, perché su questa situazione il nostro governo è silente e quindi l’abbiamo portata all’attenzione dell’Europa, denunciando le condizioni di chi vive in questi “non luoghi”. Il nostro intento è rafforzare la legge 199/2016, contro lo sfruttamento e il caporalato, anche attraverso una direttiva europea che contrasti gli appalti illegali e l’intermediazione illecita di manodopera.

Dieci anni fa, Paola Clemente morì per il grande caldo che c’era sotto i teloni delle viti dove lavorava all’acinellatura dell’uva. La sua morte diede un forte impulso all’ottenimento della legge 199/2016 così come la conosciamo oggi. Per ricordare Paola abbiamo affidato all’artista di strada Jorit la realizzazione di un murale nel centro storico di Andria, nella cui provincia si recava a lavorare, e abbiamo dato vita ad un podcast in collaborazione con Akuo e Il Fatto Quotidiano per raccontare ciò che accadde e dove siamo arrivati oggi. Ma occorre riconoscere che in questo decennio molte cose sono state fatte. La legge 199 sta producendo una cospicua giurisprudenza, che è utile sotto il profilo lavoristico per l’azione del sindacato e la difesa dei lavoratori, e la magistratura ormai la applica non solo all’agricoltura. Nessun altro Paese ha una legge di questo tipo in Europa e forse nel mondo. Gli “indici di sfruttamento” del lavoro, in essa previsti, sono diventati i parametri di riferimento dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) a livello internazionale. C’è, inoltre, il lavoro costante delle forze dell’ordine che denunciano e arrestano caporali e datori di lavoro sfruttatori.

Da quando partimmo nel 2009 con la campagna Oro Rosso ad oggi, si è creata nel nostro Paese una consapevolezza e una coscienza collettiva che, sempre più, riconosce e associa all’agricoltura il buon cibo ma anche lo sfruttamento nei campi, l’eccellenza e la qualità dei prodotti ma anche il caporalato e, siccome queste associazioni stridono tra loro, dobbiamo sempre più agire consapevolmente facendo leva su ciò che genera questo messaggio: una situazione insopportabile, perché il buono non può stare insieme a ciò che non è giusto.

Abbiamo ancora tanto lavoro da fare nel denunciare che ancora mancano le Sezioni territoriali della Rete del lavoro di qualità in oltre il 50% del Paese, organismi che molto spesso sono osteggiati dalle organizzazioni datoriali che li vedono come una presenza poliziesca, quando invece sono preposti alla prevenzione e al supporto anche delle stesse aziende. Le istituzioni che dovrebbero insediare le Sezioni latitano e molto spesso dobbiamo ricorrere ai Prefetti per applicare la legge. Accanto a questo tema c’è l’endemica carenza delle ispezioni. I dati dell’ultimo Rapporto dell’Ispettorato nazionale del lavoro ci dicono che i lavoratori controllati sono poco più di ottomila su una platea di quasi un milione di iscritti agli elenchi anagrafici dell’Inps, senza considerare l’elevato tasso di lavoro nero e irregolare.

Perciò torniamo spesso in quei posti dove la contraddizione di questo modello di sviluppo ingiusto si palesa in modo evidente, con la consapevolezza che questo problema non riguarda solo lavoratori stranieri ma ancora tanti italiani. A Torretta Antonacci abbiamo attuato il primo sciopero a rovescio dei ghetti, facendo rivivere una pratica sindacale che risale al secondo dopoguerra, spesso agita dai braccianti dell’epoca, quando il Paese andava ricostruito non solo nelle infrastrutture ma anche in una coscienza sociale e di classe. Abbiamo messo insieme i lavoratori di Torretta Antonacci e Borgo Mezzanone, uniti in una comune lotta per rivendicare i propri minimi diritti sociali e denunciare la totale assenza delle istituzioni.

Stare con le persone, organizzarle rendendole protagoniste del cambiamento è quel che abbiamo anche sperimentato, in maniera diversa, con i referendum sul lavoro. Pur non avendo raggiunto il quorum, come Flai vogliamo valorizzare la mobilitazione, per certi versi inattesa, dei giovani con i quali, generalmente, facciamo fatica ad entrare in connessione; vogliamo valorizzare il fatto di aver eroso la percentuale di astensionismo che in questi anni è andata sempre più crescendo; rivendichiamo di aver coinvolto e allineato, nel sostegno ai quattro referendum, i maggiori partiti del centrosinistra, tra i quali il Pd che ha fatto autocritica rispetto al Jobs Act. Tutto ciò non era facile né scontato e non vogliamo regalare queste cose ad altri. Non dobbiamo perdere contatto con quei 14 milioni di cittadini che hanno votato ma ritornare dove siamo stati e continuare a coinvolgerli per renderli protagonisti. Questo significa riscoprire la militanza. Un sindacato è vivo se va a parlare con le persone, se condivide con loro le battaglie e non si limita a imporle dall’alto. È quello che anche quest’anno, con la stessa dedizione, continueremo a fare con le Brigate del lavoro e con la mobilitazione decisa dalla Cgil.

Ma tutto questo non deve impedire anche l’autocritica poiché abbiamo fatto anche degli errori nella campagna referendaria e nella mobilitazione: non sempre siamo riusciti ad uscire dalla nostra “bolla”, restando nell’autoreferenzialità e non sempre ha funzionato bene la macchina organizzativa della nostra Confederazione. Se siamo un’organizzazione seria e matura non dobbiamo aver paura dell’autocritica perché si impara anche dagli errori e si cresce e si diventa più forti nelle future battaglie. Sempre avanti!

Giovanni Mininni
Segretario generale Flai Cgil nazionale

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