Borgo Mezzanone, la Flai tra le baracche della vergogna che bruciano in continuazione

Alla fine a Borgo Mezzanone ci scapperà nuovamente il morto. Una previsione terribile ma realistica, visto i continui incendi che nell’indifferenza generale scoppiano nella grande baraccopoli sorta intorno a un’antica pista aeroportuale a pochi chilometri da Foggia. Nell’inferno del ghetto, pietosamente definito insediamento informale, perché lì sono nate anche botteghe, una moschea, spacci di generi alimentari, perfino meccanici che riparano auto e motorini d’antan, sono costretti a vivere circa 2000 migranti impegnati nella raccolta di frutta, verdura e ortaggi nei vasti campi della Capitanata e del Tavoliere. In una situazione del genere basta poco per far divampare le fiamme e mandare una, due, cinque, dieci baracche in cenere. Accade d’inverno a causa dei cortocircuiti degli artigianali impianti di riscaldamento, accade d’estate perché basta un attimo, una minima disattenzione, un mozzicone di sigaretta a incendiare le baracche e quello che c’è dentro. Povere cose, indumenti spesso laceri, scarpe vecchie, brandine e materassi logori, ma anche i preziosi documenti senza i quali questi operai agricoli semplicemente tornano ad essere degli ‘invisibili’. Perché senza il permesso di soggiorno non si può fare nulla: né affittare una stanza più decente, né avere un contratto di lavoro, né guidare un mezzo. Eppure nel Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza sono previsti finanziamenti per cancellare questi luoghi vergognosi, indegni di un paese come l’Italia, ma la burocrazia, sopratutto la mancanza di volontà politica danno fiato a chi ha e continuerà a speculare sul lavoro e la vita di miglia di esseri umani, ‘colpevoli’ solo di essere nati nella parte sbagliata del pianeta. 

Dopo l’ennesimo incendio il segretario generale della Flai Cgil, Giovanni Mininni, ha preso un caravan ed ha viaggiato, insieme ad altri dirigenti del sindacato, Jean Renè Bilongo, Silvia Cicerchia, da Roma a Foggia, per rendersi conto di persona di quanto era successo e dare una volta ancora concreta solidarietà ai dannati del ghetto. 

Lì la Flai Cgil ha organizzato anche una piccola, artigianale Casa del Popolo, allestendo uno sportello diritti per dare assistenza sindacale e legale alle ultime ruote del carro di un macrocosmo capace di esportare generi alimentari per un totale di 55 miliardi annui, ma che spesso e volentieri ‘dimentica’, come si fa con la polvere che si mette sotto il tappeto, i suoi operai agricoli. Non se ne dimentica la Flai di Foggia, che con Giovanni Tarantella, Emanuela Mitola, Michele Chiuccariello, Antonio Vocale e Maria Palmieri è ormai un habituè della Prefettura per risolvere i quotidiani problemi burocratici legati al campo e a chi ci vive. Loro conoscono questi ragazzi, ne sono diventati amici, sanno chi sono i datori di lavoro, non abbassano mai la guardia, perché non è consentito. Proprio mentre siamo al campo squilla il cellulare di Tarantella, sette aziende agricole sono state commissariate dalla magistratura dopo casi di intermediazione illecita e sfruttamento dei lavoratori. “Raccontateci le vostre storie – esorta il segretario di Foggia – ed aiutateci a denunciare i caporali”. I lavoratori fanno capannello, sono incuriositi dall’arrivo di tutti questi ospiti. “Siamo ritornati qui, a Borgo Mezzanone, solamente l’altro ieri c’è stato l’ennesimo incendio – spiega Mininni – le baracche prendono fuoco in continuazione perché sono di cartone, di lamiera quando va bene. In pochissimi riescono a costruire una casa di mattoni. Una situazione incredibile, indecente, che non comprendiamo. In questo ghetto, come lo chiamiamo noi – aggiunge il segretario della Flai – alcuni problemi potevano essere risolti da mesi. Perché ci sono centinaia di moduli abitativi, che sono stati acquistati con i soldi dei contribuenti, e che invece restano inutilizzati. Possiamo vederli dall’altro lato della vecchia pista aeroportuale, dietro questa rete che definisce il perimetro del ghetto, sul terreno dell’ex Cara. Sono stati comprati per accogliere questi lavoratori, eppure restano chiusi, non vengono assegnati alle persone per le quali sono stati destinati. Dalla Prefettura abbiamo avuto la garanzia dell’installazione delle prime 150 case mobili, per una capacità di 400 posti entro una settimana, ne faranno seguito altre 200, per un totale di mille possibili ospiti. Vigileremo perché venga fatto davvero”. In questo periodo di temperature altissime e di aumento della presenza dei lavoratori è stato anche garantito un presidio dei Vigili del fuoco, con lo studio di percorsi agevolati dentro il villaggio per i mezzi antincendio. “La Flai ha chiesto, per chi ha perso i documenti negli incendi, il rilascio in tempi rapidi di nuovi permessi”, ripete Emanuela con una lista di nomi tra le mani domandando se qualcuno sia rimasto escluso. Una pacca sulla spalla e un sorriso valgono più di mille parole. Il sindacato assicura che non li lascerà soli: se non ci ascolteranno andremo una, due, dieci volte sotto la prefettura. 

Dopo il tramonto, a Borgo Mezzanone ci si può muovere a stento, grazie alla poca elettricità ‘conquistata’ con allacci di fortuna. Davanti all’artigianale Casa del popolo messa in piedi dalla Flai Cgil, i lavoratori fanno a gara a porre domande a Mininni. La Flai ha faticato per vincere  la naturale diffidenza di chi fino ad ora ha preso solo calci in faccia dall’Italia, dovendo per giunta subire la beffa di vedere arrivare le case mobili che però restano chiuse e per ora inutilizzabili. Fra la polvere di questa distesa brulla e rovente, sono polverosi anche i cani e i gatti che hanno trovato la loro cuccia in una vecchia carcassa d’auto, o tra avanzi di materiali edili buttati come in una discarica. Come un mantra, i migranti chiedono di poter avere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Un’autentica impresa, nelle pieghe di leggi razziste e xenofobe in vigore da più di vent’anni. Eppure quel pezzo di carta segna il confine tra un’esistenza che può diventare quantomeno dignitosa e l’invisibilità agli occhi del mondo, quella che li consegna a intermediari senza scrupoli, i cosiddetti caporali, e alle pretese di aziende disinvolte che pur di fare profitti non esitano a sfruttare chi contribuisce al loro arricchimento. Di volta in volta i migranti si presentano, dicono come si chiamano, da che paese dell’Africa vengono, raccontano delle loro speranze di poter guadagnare un po’ di soldi da poter inviare alle famiglie rimaste a casa, poi indicano le baracche bruciate: non è giusto vivere in queste condizioni, basta un incendio e c’è chi perde tutto. Ogni tanto le voci diventano concitate, in un misto di francese, inglese e italiano elementare chiedono di non essere lasciati soli. E’ una promessa che Giovanni, come lo chiamano loro, prende in carico. Poi si va a letto, a cercare di dormire qualche ora. Perché alle cinque del mattino suonerà la sveglia e i pomodori da raccogliere non aspettano.     

Frida Nacinovich

Il reportage su Collettiva

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