Alla Camera il convegno sulle nuove frontiere del caporalato. Mininni: Sulla Pac i controlli sono insufficienti

Alla Camera il convegno sulle nuove frontiere del caporalato. Mininni: Sulla Pac i controlli sono insufficienti

Stamani nella Sala del Cenacolo il confronto tra parti sociali, politica, forze dell’ordine e giuslavoristi. Il segretario generale Giovanni Mininni: «Dobbiamo attenzionare la condizionalità sociale. Il ministro dell’Agricoltura ne rivendica l’applicazione, ma non sono state firmate ancora tutte le convenzioni con gli organismi di controllo che devono verificare la corretta distribuzione delle risorse europee»

«In Italia si è fatto un passo in avanti decisivo con l’introduzione della legge 199 del 2016, il problema è che ancora deve essere realmente applicata». Così l’ex ministro Sergio Costa, attuale vicepresidente della Camera dei deputati, apre le danze al convegno di stamani alla Sala del Cenacolo del Complesso di Vicolo Valdina, a due passi da Montecitorio. Titolo: “Lavoro precario e caporalato: le frontiere dello sfruttamento contemporaneo”. Un momento per fare il punto sulle politiche di contrasto al lavoro nero e senza tutele in agricoltura, ma anche un’occasione per elaborare insieme nuove strategie e pratiche.

Presenti al tavolo, insieme al segretario generale della Flai Giovanni Mininni, le segretarie di Fai e Uila Raffaella Bonaguro e Enrica Mammucari, i giuslavoristi Raffaella Alois e Stefano Giubboni, il comandante dei Carabinieri per la Tutela del lavoro Antonio Bandiera. A introdurre, l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, mentre la moderazione è affidata all’ex senatore M5s Gianluca Ferrara.

Nei saluti istituzionali, Costa fissa qualche cifra – oltre 200mila i lavoratori irregolari in agricoltura, circa 150 i ghetti dove troppo spesso vivono – e avanza subito qualche proposta concreta. «Per realizzare pienamente il dettato della legge 199 – dice – si dovrebbe innanzitutto convincere le aziende ad iscriversi alla Rete del lavoro agricolo di qualità (una white list di imprese che certificano di aver rispettato le norme su lavoro e previdenza e di applicare i contratti collettivi, ndr). Su 200mila aziende potenzialmente interessate, ad oggi quelle iscritte son poco più di 6mila. Per spingerle a farlo sarebbe opportuno rendere l’adesione conveniente. Ad esempio inserendo misure premiali nei Programmi di sviluppo rurale».

Inoltre, spiega ancora l’ex ministro, «in Europa i benefici della Politica agricola comune (Pac) devono essere negati a chi ricorre a lavoro irregolare. Sarebbe poi fondamentale una banca dati per incrociare domanda e offerta di lavoro in agricoltura, per evitare che ci si rivolga a intermediari improvvisati o opachi. Infine si potrebbe estendere il Durc (il Documento unico di regolarità contributiva, ora in uso nel settore edilizio, ndr) anche in ambito agricolo».

Un ultimo passaggio, poi, Costa lo dedica ai 200 milioni previsti dal Pnrr per il superamento dei ghetti in cui vivono molti lavoratori impiegati nelle campagne italiane, fondi ancora non utilizzati, e alla necessità di smantellare la legge Bossi Fini sull’immigrazione. «Mi assumo la mia responsabilità, ho fatto parte di un governo che non è intervenuto su questo frangente – ammette Costa – però ora occorre cambiare la norma».

L’ex ministra del Lavoro Catalfo pone una domanda che fa da cornice all’intera discussione. «La Costituzione parla del diritto dei lavoratori ad una “retribuzione sufficiente” ad assicurare “un’esistenza libera e dignitosa”, ma quanto è veramente rispettato questo principio?»

Medesimo quesito si potrebbe porre rispetto al primo articolo, che parla di una Repubblica “fondata sul lavoro”, quando, ricorda l’ex senatore M5s Gianluca Ferrara «nel 2024 sono state 805 le morti avvenute durante le attività lavorative, circa tre al giorno, una situazione drammatica. Tra loro – ricorda Ferrara – anche Satnam Singh, lasciato morire dal suo padrone dopo aver subito un incidente lo scorso giugno nell’Agro pontino».

Certo, sul fronte delle norme contro lo sfruttamento in agricoltura, nonostante le vicende come quella di Satnam, alcuni passi avanti negli anni sono stati fatti. «Dai primi accordi contro il caporalato di inizio anni duemila – elenca la segretaria generale Uila Mammucari – al decreto Campolibero del 2014, alla legge 199 del 2016, all’introduzione della condizionalità sociale nella Pac, alla nascita l’anno scorso del Sistema informativo per la lotta al caporalato, un sistema di banche dati unificate. Purtroppo, però, alcuni altri strumenti che erano stati predisposti, tipo il Tavolo caporalato, al momento non sono attivi», spiega mentre annuiscono Mininni e Bonaguro.

Un altro problema, prosegue Mammucari, è che «spesso le ispezioni nelle aziende agricole anziché tutelare i diritti dei lavoratori finiscono col penalizzarli. Perché dunque, per evitare questo paradosso, non viene sempre attivata la diffida accertativa dell’Ispettorato del lavoro per crediti patrimoniali? Perché l’ottenimento del permesso di soggiorno per sfruttamento non diventa un automatismo? Perché le procedure di recupero del cosiddetto “furto salariale” non vengono sempre messe in atto? Perché, infine, non viene applicata dappertutto la rivoluzionaria circolare del 2020 dell’allora presidente Inps Tridico del 2020 (che indicava che ciò che conta ai fini contributivi è l’attività svolta effettivamente dal lavoratore, a prescindere dall’inquadramento e dal contratto, ndr)?».

E ancora, precisa la segretaria generale Uila, «gli enti bilaterali, visto che posseggono le anagrafiche dei lavoratori e delle aziende agricole che applicano correttamente il contratto, potrebbero dare un aiuto importante alle Sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità», ossia a quegli organismi provinciali nei quali, ove sono insediati, istituzioni, sindacati e datoriali collaborano per predisporre misure su alloggi, trasporti, intermediazione di manodopera, prevenzione del lavoro nero in agricoltura.

Il punto è che, come la Flai ha denunciato con la mobilitazione nazionale “Dai campi ai referendum” lo scorso lunedì, solo 49 Sezioni territoriali sono insediate, meno della metà di quelle previste.

«Per risolvere davvero il caporalato, che è un fenomeno complesso e con origini precise – lancia la provocazione il segretario generale della Flai Cgil Giovanni Mininni – dovremmo copiare ciò che fanno i caporali, perché offrono un servizio efficiente e rapido ai lavoratori». Un tempo lo Stato, prosegue Mininni, «aveva questo ruolo, ma poi ha deciso di rinunciarvi, con la fine del collocamento pubblico in agricoltura. Un servizio che aveva alcune peculiarità rispetto al collocamento tradizionale, perché le imprese agricole hanno necessità diverse dalle altre, la manodopera spesso deve essere reperita in tempi brevi per evitare di dover perdere le produzioni».

Rispetto poi ai meccanismi premiali per incentivare l’iscrizione alla Rete del lavoro agricolo di qualità, «la regione Emilia Romagna ha previsto un punteggio premiante nel Prs per le imprese che vi aderiscono, lì vi è un maggiore tasso di iscrizioni – spiega Mininni. Iniziative di questo tipo ci sono anche in altri territori, ma sono ancora poco pubblicizzate». Si potrebbe proseguire in questa direzione, propone Mininni rivolgendosi agli esponenti del Movimento 5 stelle presenti in sala: «Se mobilitaste tutti i vostri consiglieri regionali e laddove li avete anche gli assessori all’Agricoltura, si potrebbe spingere su questo frangente. Noi non siamo contrari al Durc in agricoltura (proposto ad inizio dibattito da Costa, ndr), ma crediamo che introdurlo con l’attuale governo non sarebbe certo facile. Perciò pensiamo che si possano utilizzare gli strumenti che già abbiamo. La legge 199 parla “indici di coerenza del comportamento aziendale”, che la cabina di regia della Rete del lavoro agricolo di qualità dovrebbe stilare, avvalendosi delle Sezioni territoriali. Perché dunque non stimolare le Sezioni a procedere in questo senso?» avanza la proposta Mininni.

C’è poi il tema dei 200 mln del Pnrr per il superamento dei ghetti. «Secondo quanto rileviamo dai territori, vari comuni amministrati dal centro destra stanno rinunciando a portare avanti i progetti. Attualmente i fondi ancora non sono utilizzati». Infine, sul fronte della Pac, insiste ancora il segretario generale Flai, «dobbiamo attenzionare la condizionalità sociale. Il ministro dell’Agricoltura ne rivendica l’applicazione, ma in realtà non sono state firmate ancora tutte le convenzioni con gli organismi di controllo che dovrebbero verificare la corretta distribuzione delle risorse europee».

Più benevola col governo la segretaria nazionale della Fai Cisl Raffaella Bonaguro: «Diamo atto al ministro dell’agricoltura di averci ascoltato subito, dopo il caso Satnam, e anche rispetto alla questione della condizionalità sociale». Il problema, concorda però la segretaria, «è che anche noi abbiamo notizie di aziende che continuano ad attingere soldi della Pac ma senza essere controllate in alcun modo. Il controllo spesso non viene effettuato».

È il turno poi di Stefano Giubboni, ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Perugia, che esordisce: «Come giuslavorista vivo un disagio». Se infatti «il legislatore penale ha saputo essere innovativo sul fronte del contrasto a sfruttamento e caporalato in agricoltura, quello giuslavorista ha per qualche motivo evitato di farlo, rinunciando alla propria missione – ammette Giubboni -. Il diritto del lavoro negli ultimi anni si basato su uno slabbramento, su una evasione delle norme. Si pensi solo alle catene di subappalti».

A provare a farle rispettare, queste norme, ci pensano anche i Carabinieri per la Tutela del Lavoro, di cui Antonio Bandiera è comandante. «Noi svogliamo sia un’attività ispettiva che una investigativa, facendo attività di polizia giudiziaria» spiega Bandiera. Perché funzionino bene, «le ispezioni devono essere il più possibile mirate – aggiunge il comandante -. E gli ispettori devono essere empatici, perché devono intervistare i lavoratori, e se questi vedono gli ispettori come coloro che possono portare loro nocumento, difficilmente parleranno apertamente delle proprie condizioni di lavoro». Poi, prosegue Bandiera, «c’è l’attività investigativa, che può scattare anche da una singola ispezione. Siamo presenti con 101 Nil (Nuclei Carabinieri Ispettorato del Lavoro, ndr) incardinati presso gli Ispettorati».

In due casi, spiega ancora il comandante, «possiamo sospendere un’attività lavorativa. Quando i lavoratori in nero in un’azienda sono più del 10% della manodopera e in caso di violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro». Secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Ispettorato nazionale del lavoro, nel 2024 sono stati 15.002 i provvedimenti di sospensione delle attività imprenditoriali, un incremento del 34% rispetto all’anno precedente, che ha portato a registrare il massimo storico. Il 37% di questi provvedimenti è stato causato da gravi violazioni in materia di sicurezza.

Ma il caporalato, riprende Bandiera, «non è diffuso solo in agricoltura, bensì anche nella manifattura, nel lavoro domestico, nella logistica, per arrivare alla gig economy e al “caporalato digitale”».

Un fenomeno, quest’ultimo, indagato dalla giuslavorista Raffalla Alois, autrice del volume Dai braccianti ai rider. Il «metodo» del caporalato e le nuove frontiere dello sfruttamento, da poco in libreria. «Per debellare il caporalato – spiega Alois, che chiude la batteria di interventi della mattinata – occorrono controlli continuativi e diffusi, i reparti che se ne occupano devono avere più risorse, umane e materiali. Poi sono fondamentali task force coordinate – un tema emerso più volte durante il convegno – che vedano la partecipazione di parti sociali e istituzioni. I tavoli di concertazione sono importanti perché permettono anche alla parte datoriale che talvolta può sentirsi oppressa dal fisco oppure può avere difficoltà rispetto al costo del lavoro di dialogare e trovare soluzioni che prevengono il ricorso al lavoro nero».

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