Adesso Basta!

Giovanni Mininni e tutta la Flai Cgil saranno in piazza contro una manovra economica sbagliata, che non tiene conto delle richieste di chi, con il suo impegno quotidiano, manda avanti il paese. In Italia si è poveri anche lavorando, per questo milioni di persone di ogni età e condizione sociale hanno scelto di dire: Adesso basta! Alle minacce del ministro Salvini rispondiamo con la partecipazione. In questa lunga intervista ad Agrapress il segretario generale della Flai Cgil fa il punto della situazione, gettando l’occhio anche alle numerose e sempre più gravi crisi internazionali che si traducono in guerre e devastazioni senza fine e migliaia di vittime civili.   

Mininni: “Contratti nazionali ad hoc, ipotesi catastrofica per i lavoratori dell’industria alimentare

Di Letizia Martirano

Una lunga e proficua conversazione con il segretario generale della Flai-Cgil Giovanni Mininni ha dato vita a questa intervista. Da tempo l’idea di realizzarla era in cantiere ma per un motivo o per l’altro era sempre stata rinviata. Questo spiega la molteplicità dei temi emersi.

Che aria tira?

La situazione generale è complessa, delicata e su questa regna forte incertezza anche a causa di tensioni geopolitiche esterne. Tutti dobbiamo fare la nostra parte ma il governo italiano dovrebbe agire per stabilizzare l’economia e il paese e altrettanto dovrebbero fare anche le istituzioni europee e mondiali.

A cosa si riferisce?

La nuova guerra in Medio Oriente, come è stato per quella dell’Ucraina, è una assurda carneficina che pagano a caro prezzo i popoli. Ma se in Ucraina si confrontano due eserciti, a Gaza c’è un esercito occupante contro un popolo occupato e questo vìola tutte le convenzioni internazionali. Inoltre, anch’essa avrà ripercussioni sull’Italia: già il prezzo del petrolio è salito con quotazioni paragonabili a quelle dei tempi dell’invasione russa dell’Ucraina, con il rischio che il caro energia generi di nuovo crisi per tutti i settori e aumento dei prezzi. Comunque il massacro che si sta compiendo a Gaza, senza alcuna giustificazione plausibile, va fermato immediatamente.

Come giudica la posizione italiana sulle guerre in corso?

Sulla guerra, con amarezza, registriamo l’inesistenza del nostro Paese e dell’Unione Europea che si sono appiattiti sugli Stati Uniti e hanno rinunciato a giocare un ruolo di mediatori per la pace, che invece avrebbero potuto giocare, prima sull’Ucraina e poi in Medio Oriente. Andreotti e Craxi, pur lontani dalla mia visione, affrontavano questo problema con maggiore lucidità e coraggio e avevano una profondità diversa nell’analisi. A riguardarli oggi mi sembrano dei giganti e l’attuale dibattito mi intristisce e mi indigna.

Quali conseguenze vi preoccupano?

L’inflazione rallenta un po’ ma si mantiene a livelli ancora troppo alti, più alti della media europea, e questo non tutela i salari erosi già da due anni di crescita dei prezzi e dalle scelte dell’Unione Europea di innalzare i tassi. Di conseguenza molti lavoratori scivoleranno verso una condizione prossima alla povertà, soprattutto in agricoltura o nei settori degli appalti e subappalti delle filiere dell’agroalimentare dove i salari sono già bassi.

Perché secondo lei l’inflazione italiana cala più lentamente?

L’inflazione italiana dipende, come detto dalla Banca Centrale, dagli importanti profitti realizzati in tanti settori, tra cui anche l’industria della trasformazione alimentare, che si sono realizzati nei momenti di incertezza innalzando i prezzi e che, come ci ricorda l’Istat, pur cominciando a scendere si mantengono ancora alti. Quella ricchezza va investita e redistribuita.

Cosa pensate si debba fare per contrastare l’erosione dei salari?

Abbiamo chiesto più volte al governo misure di tutela dei salari. Come è stato fatto in Francia con il controllo dei prezzi ed in Germania con il rafforzamento dei salari, si possono ottenere delle misure che tutelino i salari maggiormente esposti. I dati sulla povertà sono innegabili. Occorre mettere al centro delle politiche il tema della giustizia sociale, proprio per poter rilanciare il Paese la cui crisi non si supera senza la coesione sociale. Per questo la Cgil ha manifestato per l’applicazione della Costituzione perché in essa sono indicati i principi di giustizia su cui deve fondarsi la nostra società. I temi dell’efficienza della sanità pubblica, della scuola pubblica e dei trasporti riguardano anche i lavoratori dell’agroalimentare.

Ci sono segni dal governo?

Assolutamente no. Sono stati promossi tavoli di confronto che non hanno prodotto nulla finora. Una sorta di melina. Per il nostro settore è ancora peggio. Lollobrigida, a oltre un anno dal suo insediamento, non ci ha mai incontrato, se non una sola volta su questioni generiche al Mimit, mentre dialoga continuamente con le associazioni datoriali nell’illusione che il Paese al centro abbia l’impresa e che il rilancio possa venire solo perché lo trainano le imprese. Per il ministero del Lavoro, poi, i lavoratori agroalimentari non esistono proprio.

In passato era diverso?

I precedenti ministri dell’agricoltura e del lavoro hanno sempre fatto incontri con le organizzazioni sindacali perché volevano confrontarsi sui problemi del mondo del lavoro coinvolgendoci sulle questioni che si presentavano. Questi ministri invece ascoltano solamente le imprese.

Un governo distratto?

Quella dell’attuale governo è chiaramente una scelta e non una distrazione; è un’ideologia da destra liberista; una versione riveduta e corretta del corporativismo da cui loro vengono, ma con la cancellazione dei lavoratori.

Cosa glielo fa dire?

Ci tengono ad usare spesso la parola “Nazione” ma in realtà è svuotata del suo significato, se non quello geografico. A livello internazionale, sui conflitti, si sono immediatamente appiattiti sugli Stati Uniti senza il minimo sussulto che anche Macron più volte manifesta e, rispetto alla difesa degli interessi nazionali, fanno scelte pericolose come quelle sulla TIM. Checché ne dicano, non conoscono neanche la differenza tra gli interessi di un’impresa multinazionale e quella nazionale operando, di fatto, allo stesso modo con entrambe. E sul piano sociale, le prime cose che hanno fatto sono state la cancellazione del reddito di cittadinanza e la flat tax, producendo una rottura sociale e mettendo in contrapposizione dipendenti e partite Iva. Non solo si determina uno strappo costituzionale ma si crea una lacerazione della coesione sociale. È una destra iperliberista che mi ricorda più la Thatcher che la destra sociale.

Cos’altro la preoccupa?

E poi arriva l’autonomia differenziata ed il premierato che nei prossimi anni, se questo governo dura, determineranno una divisione del Paese con una ulteriore polarizzazione sociale. Ma di quale “Nazione” parliamo? Un Paese così dilaniato come potrà reggere la competizione internazionale? L’Italia sarà sempre più oggetto di shopping e incursioni di multinazionali, fondi finanziari stranieri e società di altre Nazioni.

Un tema che sta al centro dell’azione della Flai-Cgil per la tutela del lavoro è la lotta al caporalato. Facciamo il punto?

La Flai agisce su vari fronti per tutelare il lavoro, intervenendo dove c’è sfruttamento e caporalato con il sindacato di strada. Il recente progetto DIAGRAMMI, che si sta concludendo, ci ha consentito, in modo strutturato, di utilizzare una flotta di furgoni in tutta Italia per sostenere i soggetti vulnerabili. Il problema continua a riguardare anche i lavoratori italiani ma, rispetto alla prima campagna che lanciammo nel 2009, abbiamo registrato passi in avanti. Dopo la legge 199 del 2016, cosiddetta legge contro il caporalato, abbiamo registrato che in molte province la “paga di piazza” si è avvicinata ai livelli di retribuzione previsti dai contrattati agricoli. È un effetto importante del ruolo delle forze dell’ordine e dell’azione sindacale contro i caporali ed i datori di lavoro che sfruttano i lavoratori. Non passa una settimana che non vi siano arresti di caporali e anche di datori di lavoro e ci sono oggi in Italia centinaia di processi. Ma manca ancora l’applicazione della parte preventiva della legge e cioè l’istituzione delle sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità. Queste sono presenti in poco meno della metà delle province e, dove ci sono, operano con difficoltà, un po’ per la lentezza delle istituzioni e anche perché c’è la diffidenza delle Associazioni datoriali che temono abusi mentre, invece, le sezioni territoriali dovrebbero proprio servire ad individuare soluzioni condivise per sostenere lavoratori e imprese, per esempio nei trasporti o nell’accoglienza.

Cosa fa la sua organizzazione per invertire la tendenza?

Denunciamo: sia le lungaggini sia i casi di sfruttamento e caporalato, che non sono diffusi solo in agricoltura ma anche in appalti e subappalti di alcune filiere dell’industria agroalimentare dove le aziende affrontano la competitività sui mercati comprimendo i diritti dei lavoratori. Stiamo anche registrando l’uso di contratti impropri, come nel caso del macello di Baldichieri, nell’astigiano, dove i macellatori dai primi di agosto sono in sciopero fuori ai cancelli perché dopo un cambio di appalto (già erano inquadrati come artigiani), gli è stata proposta l’applicazione del contratto degli operai agricoli, pur stando su una linea industriale.

Ci sono altri casi?

Certo. Ad esempio, nel campo avicolo, mentre Aia Veronesi applica il contratto nazionale dell’industria alimentare, Amadori applica quello delle cooperative agricole e Fileni il contratto provinciale agricolo di Ancona. Questi contratti hanno costi diversi per le imprese e, di conseguenza, ci sono stipendi diversi per i lavoratori. Eppure sono tre importanti competitor dello stesso mercato, tutti macellano polli e hanno gli stessi processi produttivi. L’Inps dovrebbe vigilare. La tendenza è scendere verso il basso e la competizione tra le imprese si fa anche sul costo del lavoro. Un altro esempio è nel settore del pomodoro, dove Mutti e Doria applicano il contratto industria alimentare mentre Casalasco, che quest’anno ha fatto una produzione sostanzialmente pari alla somma degli altri due, applica il contratto agricolo e anche sfruttando questo vantaggio competitivo è un gruppo che è cresciuto tantissimo.

Che cosa si dovrebbe fare secondo la Flai?

Oggi si impone una legge che, oltre a intervenire sul salario minimo e sulla rappresentanza, intervenga su quale deve essere il contratto pertinente al settore merceologico e produttivo, facendo ordine nella sovrapposizione di norme che consentono lo shopping contrattuale e rafforzando gli organismi di vigilanza. Su questo stiamo preparando una battaglia.

La bilateralità può servire a ragionare per una diversa cultura del mercato del lavoro?

A ragionare sì. Ma in questo paese, dove per trent’anni il mercato del lavoro è stato devastato e sono stati eliminati gli uffici di collocamento perché rappresentavano “lacci e lacciuoli”, a chi si deve rivolgere un imprenditore per assumere? A Foggia, ai tempi di Martina ministro dell’agricoltura, si fece una sperimentazione anche con il Ministero degli interni: ci rendemmo conto che mancavano gli interlocutori, a cominciare dai centri per l’impiego ma mancava anche chi avrebbe dovuto reprimere, tant’è che ancora oggi in quel territorio ci sono 10/12 ghetti. Basterebbe che un semplice vigile urbano fermasse i furgoni con i braccianti perché quei furgoni non sono a norma e salterebbe il sistema. Ma ci vorrebbe uno Stato in grado di sostituire i caporali, offrendo un servizio efficace ed efficiente. Era il progetto del prefetto Jolanda Rolli, commissario straordinario per il caporalato. Commissari che non furono confermati da Salvini appena fu nominato ministro degli interni.

Come procede il rinnovo del contratto dell’industria?

È molto importante, abbiamo cominciato le trattative. Il tema delicato e’ la frammentazione delle controparti datoriali. Da un lato ci sono undici Associazioni industriali con cui stiamo rinnovando il contratto e dall’altra Assocarni, Italmopa e Assalzoo riunite, con la benedizione di Confindustria, in Federprima che, a loro dire, associano la prima trasformazione. Queste tre Associazioni non hanno sottoscritto il contratto del 2020, pur avendolo applicato, perché vorrebbero avere nell’industria alimentare un contratto diverso. Il pericolo, secondo noi, è che si determinerebbero, in futuro, condizioni di stipendi e diritti assai diversi tra i lavoratori dell’alimentare e ciò darebbe il via libera ad ogni Associazione industriale di chiedere un contratto nazionale ad hoc per il proprio settore di rappresentanza. Un’ipotesi catastrofica per i lavoratori dell’industria alimentare che perderebbero la loro forza e unità e vedrebbero abbassati diritti e stipendi. Per questo non accetteremo mai che si possa realizzare un altro contratto all’interno del settore alimentare di Confindustria.

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