Vendemmia in Franciacorta, tra fatica, sindacalizzazione e purtroppo una tragedia

Il caldo impietoso portato dall’anticiclone africano ha mietuto un’altra vittima. Questa volta è successo tra i rinomati vigneti della Franciacorta, lì dove Ioan Avarvarei era di casa. Il giovane lavoratore agricolo di origini rumene, in Italia da anni, si è accasciato nelle prime ore del pomeriggio, quando il sole è alto e la temperatura sfiora i 40 gradi. Se n’è andato a 37 anni appena, mentre vendemmiava a Cazzago San Martino.

Non era un lavoratore occasionale Ioan, come invece lo sono le migliaia in arrivo dall’est Europa per la raccolta della preziosa uva. Un lavoro che dura più o meno tre settimane, in genere dalla metà del mese di agosto, prima che le piogge di fine estate sciupino i grappoli. Un lavoro duro, con ritmi sostenuti e in condizioni climatiche avverse, per giunta pagato tante volte meno del giusto. Un lavoro precario. Viste le premesse, le aziende vitivinicole ricorrono sempre più spesso a migranti, che arrivano nel bresciano per ‘fare la stagione’ e magari trovare altre occasioni di impiego.

Il nome Franzacurta appare per la prima volta nel 1277, nello statuto municipale di Brescia, identificando l’area delle francae corti, le corti franche, esentate dal pagamento di dazi e tributi. Molti, molti anni dopo, tra la fine degli anni 50 e l’inizio degli anni 60, Franco Ziliani e Guido Berlucchi ebbero l’ottima idea di impiantare su quelle colline del bresciano, digradanti fino al lago di Iseo, dei vitigni di uve chardonnay, pinot nero e pinot bianco, per produrre uno spumante con il metodo classico che avrebbe preso il nome di Franciacorta.

“Storicamente la vendemmia veniva svolta da parenti, amici, studenti e disoccupati della zona – ricorda Enrico Nozza Bielli, segretario della Flai Cgil di Brescia – poi le bollicine della Franciacorta sono diventate famose e il mercato ha chiesto di incrementare la produzione, così nuovi terreni sono stati coltivati a vite e di conseguenza il fabbisogno di manodopera è cresciuto. I lavoratori locali sono stati via via sostituiti dagli stranieri, dapprima quelli stanziali ma recentemente assistiamo al fenomeno, sempre più diffuso, dei trasfertisti”.

Nozza Bielli e la Flai di Brescia sono di casa fra queste vigne. Fanno sindacato di strada, passano le ferie spostandosi in furgone di terreno in terreno, portano acqua, cappellini per proteggersi dal sole, soprattutto danno informazioni sui contratti, sulle retribuzioni, sui tempi di lavoro. “Se vi pagano meno o non vi fanno un contratto regolare diventa sfruttamento”. Il tempo di qualche chiacchiera, un volantino da consegnare prima che i capisquadra si innervosiscano. Ioan abitava da tempo nel bresciano, si era integrato, inserito nel tessuto sociale. Non così molti suoi connazionali, gli Anton, gli Adrian, i Georgel, che di italiano sanno solo qualche parola, pendolari della raccolta in arrivo non solo dalla Romania ma anche dalla Bulgaria, dall’Albania, anche dalla Polonia. “A molti di loro il salario sarà corrisposto dopo settimane, a stagione finita, quando saranno tornati nei loro paesi di origine – spiega Nozza Bielli – per questo è importante che sappiano quanto prevedono per loro i contratti”.

Sono spuntate come funghi dopo un’acquazzone estivo cooperative e aziende di servizi alla viticoltura, specializzate nel reclutamento di lavoratori esperti e soprattutto operai stagionali. Una di queste recentemente è finita sui giornali, a causa di pratiche ‘disinvolte’ di intermediazione. Inchieste con ipotesi di reato di caporalato, lavoro nero e omesso versamento dei contributi.

Anche senza guardare ai casi limite, quelli che fanno notizia, tutti sanno che il lavoro nelle campagne è difficilmente controllabile, si presta a tante piccole malversazioni, che vanno dal lavoro nero (la mancata assunzione), al pagamento a cottimo (cioè in base ai quintali raccolti). Soprattutto c’è tanto lavoro grigio, con contratti di assunzione e buste paga teoricamente regolari, ma non tutte le ore vengono conteggiate, oppure una parte viene pagata sottobanco, di solito a un valore inferiore rispetto a quello previsto dal contratto. Succede anche che al lavoratore venga chiesto di restituire una parte del percepito.

Il sindacato di strada deve vincere la naturale diffidenza dei lavoratori e l’aperta ostilità dei capisquadra. “Per farci conoscere e riconoscere ci sono voluti tempo e pazienza. Per rompere il ghiaccio abbiamo pensato di offrire acqua ai lavoratori impegnati nella raccolta, quanto mai gradita a chi passa ore e ore sotto il sole di agosto. Abbiamo acquistato bancali di bottiglie per distribuirle insieme a volantini con poche, essenziali informazioni, tradotte in più lingue, insieme ai nostri recapiti telefonici. Mediamente ogni anno distribuiamo migliaia di litri d’acqua ai lavoratori. Abbiamo fatto stampare delle etichette adesive da mettere sulle bottiglie, con il nostro logo e con i nostri recapiti. Adesivi che possono essere comodamente staccati e messi in tasca”.

Insieme all’acqua vengono distribuiti cappellini e magliette, anche gadgets del sindacato. Doni apprezzati. Instancabili, i ragazzi della Flai continuano a presidiare il territorio, anche quando i capisquadra spiegano che l’acqua a disposizione c’è già. Ma le bottigliette di plastica sono ammassate in un angolo, sotto il sole, bollenti e imbevibili. “A noi un’azienda di acque minerali del territorio ha accettato di darcela gratis – sottolinea Nozza Bielli – creando così un legame virtuoso che unisce gli addetti dell’industria e quelli agricoli, per arrivare ai dipendenti diretti delle aziende vitivinicole”. Si stanno avvicinando le perturbazioni settembrine, l’estate sta finendo, e la raccolta delle uve è arrivata al termine. Anche grazie a questi ragazzi potremmo brindare con un ottimo Franciacorta.

Frida Nacinovich

Il reportage su Collettiva

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