“Masslo figlio del Sudafrica di Mandela, che oggi denuncia Israele per il genocidio dei palestinesi”

L’intervento di Tammaro Della Corte, segretario generale della Flai Cgil di Caserta, nella tre giorni in memoria del giovane migrante assassinato da una banda di criminali 

“Pensavo di trovare in Italia uno spazio di vita, una ventata di civiltà, un’accoglienza che mi permettesse di vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite alla convivenza civile. Il razzismo c’è anche qui…..Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo”.

Villa Literno 25 agosto 1989, durante un tentativo di rapina venne ucciso il sudafricano Jerry Essan Masslo. In quei tempi la popolazione di Villa Literno triplicava per l’arrivo di tanti immigrati che lavoravano nei campi di pomodoro, un po’ come accade oggi ma con una diversificazione etnica rispetto agli anni 80.

La campagna di raccolta del pomodoro stava per giungere al termine, quando una sera dei giovani del posto fecero irruzione in uno dei tanti casolari dove dormivano i lavoratori che, sotto la minaccia di armi, cercarono di difendere i loro guadagni frutto di sudore e fatica. Jerry Masslo pagò con la vita quell’atto di ribellione ad un’ennesima ingiustizia.

Jerry giunse in Italia dal Sudafrica dell’apartheid, dove per i neri la vita valeva meno di zero, cercava riscatto, un’esistenza dignitosa, diversa da quella che fino ad allora aveva vissuto, fatta di segregazione, violenza e razzismo. In Italia gli venne subito negata la richiesta di asilo politico.

La morte di Jerry accese i riflettori nazionali sulle condizioni di vita dei lavoratori agricoli immigrati e squarciò un velo di ipocrisia intollerabile. Da quella terribile estate partì un dibattito serio e necessario sulle tematiche dell’immigrazione. Fu come se tutto il paese si accorgesse per la prima volta dell’esistenza di una intera comunità emarginata.

Da lì a pochi mesi la presa di coscienza collettiva si tradusse nella prima manifestazione nazionale contro il razzismo a Roma. Sulla forte spinta emotiva e sulla mobilitazione di associazioni e sindacati venne varata la Legge Martelli, che toglie il vincolo geografico nel riconoscimento dello status di rifugiato.

Jerry era vittima dell’ingiustizia e del lavoro sfruttato, tra paghe da fame e caporalato e da esule è diventato simbolo di riscatto e resistenza. Fattore di un cambiamento culturale nel paese, portando la nostra visione oltre i confini nell’analisi delle migrazioni in un contesto che stava per essere stravolto.

Gli eventi si collocano in una fase di profondi e radicali mutamenti, dove dopo il crollo del muro di Berlino, il capitalismo ha trionfato come unico scenario possibile, dove le principali economie sono state inglobate in un unico mercato globale, fatto dalla libera circolazione dei capitali e delle merci, della privatizzazione e della selvaggia competizione.

Così la globalizzazione è diventata fattore di profonde ingiustizie, ha acuito il divario tra Nord e Sud del mondo e ha portato centinaia di milioni di esseri umani alla povertà assoluta, esclusi dalle spartizioni delle ricchezze. Persone che non entrano nel circuito del lavoro, considerati dal sistema come superflui, pesi umani magari da ghettizzare.

E’ da questi ghetti che si cerca di fuggire per dare una svolta alla propria vita, ma nel sistema dove i capitali e le merci viaggiano alla velocità della luce, chi vuole affrancarsi dalla propria condizione di povertà creata dal sistema stesso, non ha la libertà di spostarsi dove meglio crede.

Si preferisce alzare muri e costruire lager per fermare donne ed uomini, allo stesso tempo continuiamo come Occidente a depredare e strangolare con la finanza interi popoli, come appunto i popoli africani.

Non solo, ci adoperiamo a stroncare con la violenza ogni forma di aspirazione, di autodeterminazione dei popoli pur di mantenere il domino geopolitico di intere aree.

Questa è la storia di un intero continente, guerre civili, scontri etnici aizzati dell’occidente, continue uccisioni di leader anticolonialisti, colpi di Stato e sostegno a sanguinari dittatori.

Possiamo quindi depredarli, sfruttarli e portarli alla fame, ma non vogliamo che questi scappino da una miseria generata per via diretta od indiretta dell’occidente.

Sono trascorsi gli anni ed il colonialismo esiste ed ha cambiato pelle, dal controllo militare brutale si trasformato in controllo economico e finanziario.

Ma il modo è in continua evoluzione, e con esso mutano i rapporti di forza geopolitici, ed accade che paesi letteralmente sotto dominio economico e militare di potenze occidentali, cerchino di prendere in mano il proprio destino cacciando chi da sempre li ha sfruttai e ridotti in miseria, guardando a nuove alleanze con altre potenze geopolitiche; che piaccia o meno al pensiero unico neoliberista, si tratta di autodeterminazione dei popoli.

Il neoliberismo assunto a verità assoluta con il mercato che sovrasta i popoli, indirizza la politica e determina le scelte degli Stati nel picconare il welfare e frammentare sempre di più il mondo del lavoro, rendendolo pura merce di scambio e quindi minando quella famosa unità della classe lavoratrice e di riflesso, disgregando il senso di collettività.

Questo è ciò che ha mosso la nostra lunga mobilitazione nazionale fino alla raccolta firme per i referendum, affermare la dignità del lavoro stabile, quindi non precario, sicuro e tutelato.

Esistono così tante solitudini nelle italiane e negli italiani, pronte ad arroccarsi per difendere la presunta identità minacciata da chissà quale invasore. E’ qui che si passa al totale distacco umano, sentimentale, alla disumanizzazione verso chi scappa dalla miseria, dalle guerre e dalla desertificazione.

Ancora viva la memoria della strage di Cutro che pone con forza l’accento su un concetto che va al di là di ogni convinzione politica; chi in mare si trova in pericolo va salvato senza tentennamenti.

A questo si deve reagire e resistere, mettendo al primo posto la dignità di ogni essere umano e scontrandoci contro il populismo e la disinformazione selvaggia che esiste sul tema.

Intere campagne elettorali su argomenti che non stanno in piedi perché impraticabili come per esempio tanto sbandierato blocco navale di pochi anni fa, il tutto a declinare l’immigrazione come pericolo per la sicurezza nazionale, quanto poi i dati ci dicono che l’impatto dei migranti in Italia è veramente insignificante rapportato ai numeri.

Inoltre c’è l’economia reale, quella che spiega come in Italia ci siano interi settori e filiere che si reggono grazie ai lavoratori immigrati. Che, alla pari di tutti gli altri lavoratori, vivono lo sfruttamento di chi vuole fare sempre più profitti, anzi sono spesso ancora più vulnerabili degli altri per una serie di condizioni che ben conosciamo.

Attraverso il nostro sindacato di strada, durante tutto l’anno, proviamo a farci carico degli ultimi, consapevoli che in agricoltura la piaga dello sfruttamento non è superata.

Tuttavia siamo coscienti che le nostre lotte pagano; anche in questo territorio il salario di piazza è aumentato negli anni, sono aumentate complessivamente le giornate lavorative e certamente non può essere il punto di arrivo ma una semplice analisi della realtà. Quindi dobbiamo continuare su questa strada dando corpo alla contrattazione e alla lotta.

Centrale è la lotta per i diritti di tutti perché il precariato, il sotto salario ed il caporalato non guardano in faccia e nessuno ed accumunano tragicamente sia i lavoratori italiani che immigrati.

Il lavoro deve essere il fattore comune, che unisce nel destino tutti, e le divisioni che il neoliberismo crea giovano solamente a chi sullo sfruttamento vive ed accresce il proprio capitale.

È facile comprendere allora come la divisione tra precari e stabili, tra italiani ed immigrati sia manna dal cielo per classi dominanti e patronali.

Su questo si basa la loro strategia e non disdegnano inoltre di far scoppiare, guerre che alla fine pagano solo i popoli ed i lavoratori. E, facciamo attenzione, si sta facendo il possibile per giungere ad un conflitto mondiale.

Oggi siamo qui anche per la pace, e rivendichiamo il nostro essere internazionalisti, è quasi poetico come alcune vote la storia ci regala delle connessioni ideali: il Sudafrica, la cui democrazia è figlia della lotta di Mandela, paese di Jerry Masslo, denuncia alla corte internazionale Israele per il genocidio a Gaza.

Nella storia tutto si posiziona e nulla non avviene per puro caso. “Sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi”, parole di Nelson Mandela.

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