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Un 25 aprile contro il terrorismo per la democrazia

Un 25 aprile contro il terrorismo per la democrazia

Nel febbraio del 1980 il Comitato direttivo nazionale della Federbraccianti lancia una petizione contro il terrorismo con l’obiettivo di raccogliere centinaia di migliaia di firme in particolare di braccianti e salariati e di quanti vivono e operano nelle campagne e nei centri abitati.

«Con questa iniziativa – leggiamo in una nota della federazione – vogliamo contribuire a superare silenzi, ritardi ancora presenti in modo da estendere sempre di più il fronte di lotta a difesa e sviluppo della democrazia. Il terrorismo è distruzione, è morte, è fascismo; il terrorismo è barbarie; il terrorismo vuole annullare il ruolo delle masse, vuole impedire il cambiamento in avanti dei rapporti economici, sociali, politici, morali. (…) vogliamo che tutti si sentano impegnati ad intensificare iniziative e lotte tali che portino ad individuare, ad isolare e a sconfiggere i terroristi e loro mandanti; vogliamo che i poteri pubblici facciano fino in fondo il loro dovere per estendere la democrazia senza restringere la libertà. (…) il terrorismo è espressione di forze oscure che sono contro il cambiamento, di quelle stesse forze oscure che risposero con la violenza alle lotte bracciantili e contadine del dopoguerra giungendo a sterminare nelle lotte del lavoro ottantanove braccianti e contadini. È anche questa grande tradizione di sacrifici per la democrazia e la libertà che porta i braccianti oggi ad essere irriducibili contro il nuovo fascismo».

Nei mesi successivi la Fedebraccianti organizza assemblee, attivi, banchetti e iniziative pubbliche: una mobilitazione straordinaria contro il terrorismo per la libertà, la democrazia e la giustizia. Attraverso la raccolta delle firme in tutti i territori si apre un dibattito di massa e dal basso, si consolida l’impegno delle lavoratrici e dei lavoratori a mobilitarsi per isolare il terrorismo e la violenza. Nei primi giorni di luglio dello stesso anno la Federbraccianti consegna al Presidente della Repubblica Sandro Pertini il manifesto nazionale sulla lotta al terrorismo e le oltre 700mila firme raccolte.

Tra le iniziative svolte a sostegno della petizione abbiamo testimonianza e documentazione nel nostro archivio storico in particolare di quella del 25 aprile del 1980 a Roccagorga, un piccolo paese in provincia di Latina. Qualche anno fa, grazie al compagno Salvatore Piccoli, abbiamo recuperato anche il nastro del comizio che si tenne in quella occasione. Riportiamo di seguito alcuni passaggi significativi e molto attuali.

Giuseppe Aiello era all’epoca il sindaco di Roccagorga e sottolinea come «a trentacinque anni di distanza non tutte le speranze di quei giorni sono diventate realtà. (…) dopo la Liberazione arrivarono gli anni neri della repressione antioperaia e contadina. Molte decine di operai, di capilega, di braccianti furono uccisi nelle piazze». Parla di momenti drammatici della storia del nostro Paese, della crisi morale, di prospettive e di valori e alla situazione di grande tensione che si è determinata a livello internazionale.

Continua Aiello: «Occorre riprendere con forza il grande tema della pace nel mondo. Oggi la situazione internazionale è gravida di tensioni e di lacerazioni che mettono in pericolo la pace e la sicurezza mondiale. Che si lotti per la pace, che si fermi la corsa agli armamenti. Ogni anno cifre colossali vengono spese per aumentare il potenziale bellico in ogni parte del mondo».

Non mancano riferimenti all’attacco del terrorismo alle istituzioni che – ricordano – sono nate proprio dal 25 aprile del 1945. In particolare, su questo tema si concentra Donatella Turtura, che è ancora segretaria generale della categoria (sarà eletta nella segreteria confederale guidata da Luciano Lama qualche giorno dopo, nda): «Il terrorismo attacca questo Stato, lancia la parola d’ordine della distruzione. E se questo attacco oggi è possibile questo avviene anche perché in questi trentacinque anni che ci separano dal glorioso 25 aprile del 1945 nulla le classi dirigenti hanno fatto per spiegare che cosa è stata la Resistenza. (…) La Resistenza ha affermato in modo inequivocabile che non è un singolo personaggio o un manipolo oscuro a comandare un Paese ma è il popolo. Il popolo è soggetto titolare della politica. (…) È nata dalla Resistenza la legge suprema che regola l’Italia: la Costituzione Repubblicana i cui articoli fondamentali pongono il lavoro alla base dei diritti di ciascun cittadino, pongono i grandi principi dell’uguaglianza indipendentemente dalla fede religiosa e politica (…). La Costituzione afferma in modo inequivocabile i diritti di libertà, di espressione del pensiero, di lotta politica espressa sul terreno della democrazia. (…) Molti di questi principi non hanno trovato attuazione. Se andiamo con la mente agli ultimi trentacinque anni vediamo l’esistenza di un grande conflitto fra le forze – che siamo noi – che questi principi li hanno impugnati, fatti conoscere, propagandati e difesi e le forze che pur avendoli scritti sulla carta hanno fatto ogni sforzo per non farli attuare. È in questa parziale applicazione di questi grandi principi che è avvenuta una rottura, in modo particolare con le giovani generazioni. (…) Dobbiamo guardare alle manifestazioni di disimpegno dei giovani, a certi fenomeni di astensioni durante le campagne elettorali, a certi atteggiamenti di insoddisfazione che crescono nelle giovani generazioni. (…) Dobbiamo chiamare i giovani a questa funzione costruttrice, per superare il senso di avvilimento e diventare protagonisti di questa trasformazione. Non possiamo accettare che le cose vadano verso il peggio, la funzione della classe operaia, di lavoratori, dei braccianti, delle forze imprenditoriali sane è quella di prendere in mano gli obiettivi che le classi dirigenti non vogliono assumere e trascinare in questa battaglia le forze giovani che devono sentirsi impegnate in questa trasformazione».

Valeria Cappucci

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