Stop caporalato/3. In Puglia condannata azienda agricola

Braccianti sfruttati e sottopagati. Per la Flai Cgil non è una novità la notizia della condanna di un’azienda agricola di Bisceglie che ha reclutato e sfruttato circa duemila operai agricoli, soprattutto donne, facendoli lavorare tra le 12 e le 15 ore al giorno.

Non è una novità nemmeno per l’Ispettorato nazionale del Lavoro che ha certificato nel rapporto annuale del 2018 come in Puglia lo sfruttamento lavorativo e il caporalato siano fenomeni vivi e vegeti. Circa il 50% delle aziende agricole pugliesi risultano in una condizione di irregolarità; i lavoratori in nero risultano essere circa il 64%. Il 75% sono i lavoratori assunti in agricoltura in clandestinità.

Un sistema produttivo evidentemente basato su irregolarità estremamente pervasiva che favorisce lo sfruttamento di braccianti e realizza una concorrenza sleale nei confronti di capitani d’impresa illuminati e capaci di stare sul mercato con grande sacrificio ma ancora in grado di esaltare produzioni di qualità e valorizzare la forza lavoro.

“Lo diciamo da tempo: se esiste un caporale è perché un imprenditore si rivolge a lui! Il resto lo fa il bisogno e la disperazione di donne e uomini che hanno bisogno di lavorare, fino ad accettare condizioni di vero sfruttamento, con paghe ridotte a 2 euro e 50 l’ora”. Ha commentato il Segretario generale della Flai Puglia,Antonio Gagliardi.

Gli alloggi, insieme con il trasporto e il mercato delle braccia, rappresentano gli elementi su cui prospera lo strapotere del sistema del caporalato, ma sono anche i cardini su cui la Flai Cgil insiste nel dire che sono materie che vanno ricondotte in modalità coordinate e sinergiche attraverso l’istituzione delle Sezioni territoriali per la Rete del lavoro agricolo di qualità, innanzitutto per togliere l’alibi a imprenditori agricoli senza scrupoli.

Il settore primario nel nostro Paese rimane un’attività economica fondamentale per 12 mesi all’anno, lo sanno bene gli imprenditori, i trasformatori e i distributori.

Bisogna continuare a ricordarsi che esiste una legge che non può essere modificata: la Legge 199 -dedicata a Paola Clemente, bracciante agricola morta di fatica nei campi nel luglio del 2015-, vuole dare risposte concrete al sacrificio di tanti braccianti morti perché sfruttati, ma anche agli oltre quattrocentoventimila lavoratori italiani e soprattutto stranieri sotto pericolo di grave sfruttamento lavorativo e caporalato, perlopiù invisibili alle statistiche ufficiali.

“Se questa legge resta applicata solo in parte – conclude Gagliardi – aspettiamoci un lungo elenco di situazioni di sfruttamento lavorativo, fino alla riduzione in schiavitù, e caporalato in agricoltura”.