Nell’arte la forza che lotta

Valeria Cappucci

Nell’ottobre del 1952, in occasione del terzo Congresso nazionale della Federbraccianti, che si tenne a Bologna, venne allestita una mostra di pittura e, a seguire, un dibattito tra artisti e delegate e delegati al congresso.

Quest’evento vide la partecipazione di oltre 500 delegati e delegate e l’adesione, di persona o anche soltanto con l’invio di opere e tele, di numerosi artisti.

In preparazione di quell’evento, l’ufficio propaganda della Federbraccianti nazionale diramò un comunicato stampa per dare rilievo a tale avvenimento artistico.

“Pittori di tutta Italia, da Napoli a Genova, a Venezia, a Gorizia, e di ogni tendenza, dai realisti agli astrattisti – si legge nel comunicato – hanno aderito all’iniziativa di un sindacato che non è nuovo a queste attività culturali, volte da un lato a sviluppare nell’arte il suo carattere educativo di elevazione dei lavoratori e dell’altro ad avvicinare e a far coincidere il mondo artistico alla realtà viva dell’uomo. È noto come un gran numero di pittori passò varie settimane, lavorando e dipingendo tra i salariati del cremonese, fra i senza terra del latifondo siciliano, fra le mondine del varcellese”.

La mostra, che accolse numerosi artisti, tra i quali anche Guttuso, Treccani e Zancanaro, diede anche luogo ad un interessante dibattitto tra pittori, critici, lavoratrici e lavoratori. 

In maniera puntuale ed appassionata, l’edizione Piemontese de L’Unità del 28 ottobre 1952, racconterà l’evento, con un articolo dal titolo “I braccianti discutono sulla pittura realista”, a firma di Luca Pavolini.

«I braccianti a Bologna hanno voluto avere nei giorni del loro congresso una mostra di pittura. 

La discussione, serrata e costruttiva, è proceduta senza stanchezza fino a mezzanotte passata. Sono intervenuti nel dibattito quattro braccianti, sei pittori, un critico d’arte, oltre al relatore Guttuso e al segretario della Federbraccianti.

La questione di fondo l’ha posta, con semplicità ed efficacia, la mondina Maria Magnani di Reggio Emilia. Ella ha dichiarato di apprezzare profondamente l’opera dei pittori realisti; e del resto la sua stessa presenza a quel dibattito, e quella di tutti gli altri braccianti, e l’atteggiamento dei sindacati, e le mille prove di solidarietà e di ospitalità che i contadini stanno dando nei confronti degli artisti sono tutti fatti sufficienti ad attestare l’interesse, il rispetto, l’amore che i lavoratori dei campi sentono […]

Tuttavia, la contadina di Reggio Emilia ha lamentato che in molti dei quadri esposti le mondariso fossero rappresentate “brutte” […] precisò subito che non intendeva brutte “nel vero senso della parola”. La mondina non contrapponeva dunque bruttezza a bellezza, ma piuttosto a coscienza. Coscienza nel senso di consapevolezza ei propri diritti, di volontà e capacità di lotta. “Quelle mondine mi sembrano di trenta o quaranta anni fa”, diceva. “Oggi ci muoviamo, scioperiamo, lottiamo per il rispetto del lavoro e per dare impulso all’economia. E tante volte ridiamo e cantiamo”.

Il bracciante di Leoni, di Sassari, è andato ancora più in là. “Nei quadri dei grandi maestri del passato”, ha detto, “non ho mai visto una madonna brutta o un re rachitico. E questo è naturale, perché quei pittori esprimevano l’ideologia delle classi dirigenti della loro epoca. Ma oggi siamo noi che ci sentiamo classe dirigente. Nel lavoro anche se siamo oppressi o sfruttati, non ci sentiamo umiliato e sottomessi. Rappresentate le nostre lotte, mostrateci anche quello che diventeremo e che dobbiamo fare per vincere. Voi intellettuali potete guidarci, ma non dovete stare troppo lontano da noi in modo che sia troppo difficile capirvi, ma dovete stare avanti qualche metro”. 

Con questo il bracciante sardo poneva il problema del rapporto dialettico tra il pittore e il mondo del lavoro e poneva anche il problema ideologico che l’arte realistica ha di fronte a sé, e che deve affrontare per andare avanti e per legarsi stabilmente al suo pubblico.

Quel che hanno detto nel dibattito Zancanaro, Natili, Mucchi, Ricci, Borgonzoni, Treccani, ha dimostrato che i pittori, i quali rappresentano oggi questa corrente nuova nell’arte, si pongono esattamente in questi termini il problema del loro lavoro. “Quello che ci viene chiesto” ha detto Borgonzoni, “è di passare dallo stato romantico allo stato di chiarezza. Non basta dire rappresento la mondina e neppure rappresento lo sciopero delle mondine. Occorre conoscere i problemi, il contenuto di classe di quella mondina e di quello sciopero”. […] Molti degli artisti presenti a Bologna provengono da esperienze di vita ed arte di natura intellettualistica; si sono scontrati con una realtà di miseria, di sfruttamento, di ingiustizia, di fatica e hanno sentito l’imperioso bisogno di rompere, spesso clamorosamente, col passato e di dare un indirizzo nuovo alla propria arte. Essi hanno rappresentato quella miseria, quello sfruttamento, quell’ingiustizia, quella fatica. Sempre più chiaramente essi hanno visto anche i motivi che sono alla base di questa realtà, si sono sforzati di portarli sulle loro tele. […] Ma i braccianti a Bologna hanno chiesto di più. Essi quella realtà d’oppressione e di ingiustizia l’hanno già in sé stessi e nella loro coscienza superata. Essi non accettano quella realtà, lottano contro di essa, ne abbattono di continuo, giorno per giorno, alcuni aspetti, sanno che quella realtà è definitivamente superabile. Ed essi nei quadri chiedono di vedere sé stessi, come forza che lotta, come classe dirigente e destinata a dirigere».