Vessati, umiliati e sottoposti a torture psicologiche, si rivolgono agli uffici del sindacato con una scelta di dignità e coraggio. La segretaria nazionale Silvia Guaraldi: «Istituzioni e imprese sane si assumano la loro parte di responsabilità nella lotta al contrasto di questa barbarie»
Dodici lavoratori, pagati poche centinaia di euro al mese, reclutati via Whatsapp e costretti ad acquistarsi l’attrezzatura per svolgere attività nelle campagne dell’astigiano. Vessati, umiliati e sottoposti a pressioni psicologiche per evitare una loro reazione. Il più giovane ha 21 anni, il più grande 40. Sono tutti arrivati in Italia da Paesi asiatici, in cerca di un futuro migliore, ma sono caduti nel groviglio delle cooperative senza terra ed esausti dei soprusi subiti, hanno scelto di denunciare la propria condizione di lavoro, presentandosi negli uffici della Flai Cgil di Asti per farsi tutelare dal sindacato. Lo racconta oggi, in esclusiva, un articolo de La Stampa di Thomas Usan.
Il caporale che li aveva reclutati, oltre ad organizzare rapidamente le squadre di lavoratori necessarie nei momenti di picchi di raccolta, si occupava anche del trasporto e di dare un tetto spesso fatiscente ed ai limiti della decenza umana a chi ne era sprovvisto. Tutti loro, però, vivono al centro di accoglienza di piazza Catena, ad Asti.
“In questo caso, rispetto a quelli che abbiamo affrontato fino ad oggi, siamo di fronte ad un fatto completamente nuovo – dichiara Letizia Capparelli, segretaria generale della Flai Cgil di Asti -, ovvero che i lavoratori sfruttati non solo hanno deciso di denunciare i propri sfruttatori, ma con una scelta carica di dignità e coraggio hanno voluto anche mostrare i propri volti senza alcun timore di esporsi sui media. Come Flai Cgil faremo di tutto per assisterli e sostenerli con la stessa determinazione”.
“Il reclutamento dei lavoratori – riprende la segretaria di Asti – si è spostato nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) ed è affidato perlopiù a cooperative senza terra gestite da stranieri, ma non c’è un incontro tra domanda e offerta. Il ruolo degli intermediari è diventato così forte anche a causa dei vuoti delle istituzioni. L’impegno deve essere trasversale con politiche di inclusione. Fenomeni di tale entità non dovrebbero emergere solo a seguito di una denuncia della Flai ma dovrebbero esserci controlli mirati a partire dai Cas stessi”.
Questo “non è un caso isolato”, ribadisce Capparelli, “e noi dobbiamo cercare capillarmente di intervenire per difendere l’anello debole della catena, ovvero i lavoratori che spesso, ignari, vengono sfruttati. Sono lavoratori invisibili perché li vogliono invisibili. Tutto questo è possibile perché il poco che hanno è tutto quello a cui possono ambire e chi li sfrutta lo sa e approfitta della loro necessità di rendersi invisibili”.
“In Piemonte i lavoratori che provengono dall’aerea indo-pacifica sono sempre più numerosi – commenta Denis Vayr, segretario generale Flai Piemonte – arrivano in maniera regolare attraverso gli ingressi previsti dal decreto flussi, hanno pagato una somma considerevole tra i 10mila e i 15mila euro, si indebitano per venire in Italia”.
“Abbiamo seguito un caso lo scorso agosto in provincia di Cuneo e di Torino – racconta ancora Vayr – abbiamo visto documenti e filmati con scambio di denaro avvenuto nel loro Paese d’origine, abbiamo assistito alla dispersione di persone che arrivano con la promessa di un lavoro lasciate nella disperazione. Questa volta quello che succede in provincia di Asti, in un’azienda che ha la sede sociale nella provincia di Cuneo, ha superato i limiti”.
“Chi denuncia – chiosa il segretario generale Flai Piemonte – deve essere protetto. Ci attiveremo come organizzazione sindacale anche attraverso il progetto Common Ground per dare assistenza e tutela legale. Si facciano avanti le associazioni datoriali e le aziende sane per dare un lavoro sano a questi lavoratori che hanno avuto il coraggio di denunciare questa barbarie”.
“Sono sempre più numerosi i casi di sfruttamento lavorativo nelle nostre campagne e ci consegnano – dichiara Silvia Guaraldi, segretaria nazionale Flai Cgil – non solo che il fenomeno è ben lontano dal ridimensionarsi, quali che siano i dati che emergono nel report INL 2024, ma che le rivendicazioni che da anni portiamo avanti sono fondate e necessitano urgentemente di interventi seri e concreti da parte delle istituzioni”.
Gli ingredienti che sottendono ai casi di sfruttamento “sono sempre i medesimi: intermediazione di manodopera, speculazione sullo stato di bisogno dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolte, mancanza di risposte relative al trasporto e spesso emergenza alloggiativa”.
L’urgenza è sempre la stessa. “Lo ripetiamo – ribadisce la segretaria nazionale –: è urgente ripristinare, rilanciare e rafforzare i servizi pubblici per l’impiego dotandoli anche di personale competente in tema di mediazione culturale per rendere l’incrocio di domanda e offerta di lavoro trasparente e sottrarre alla mercé dei caporali i lavoratori e le lavoratrici dell’agricoltura, così come è necessario studiare una rete di trasporti ad hoc per il settore; ed è proprio all’interno delle sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità che a tali tematiche istituzioni, organizzazioni sindacali, organizzazioni professionali, anche in convenzioni con soggetti del terzo settore, dovrebbero operare per dare risposte”.
“Peccato – prosegue – che ancora non si riesca a far istituire le sezioni in ogni provincia e che, sempre più frequentemente, le stesse abbiano un’operatività limitata perché, nonostante le nostre ripetute richieste, le altre parti coinvolte latitino nella presenza, nell’ascolto e nella messa a terra di progetti concreti che diano risposte a una piaga non più tollerabile. Ne è palese dimostrazione anche quanto sta avvenendo con le risorse del Pnrr stanziate per il superamento dei ghetti. Auspichiamo che, come in alcuni dei tanti casi emersi lo scorso anno, si facciano avanti quelle aziende sane che vengono penalizzate da chi sfruttando il lavoro fa loro concorrenza sleale per supportare concretamente chi alza la testa e denuncia lo stato di sfruttamento per dimostrare che un altro modo di fare impresa è possibile”.
L’altra evidenza, dichiara Guaraldi, “è l’abrogazione della Bossi Fini, la non più rinviabile modifica dei meccanismi dei decreti flussi e delle regole di permanenza nei centri di accoglienza che, sempre più spesso, si trasformano in un business per criminali sfruttatori se non in meccanismi micidiali nelle mani di chi opera tratta di esseri umani al fine di sfruttarne lo stato di bisogno”.
Serve che la politica si assuma le sue responsabilità. “Siamo stanchi – conclude infine la segretaria – delle solite roboanti dichiarazioni di fronte ai casi più cruenti che poi finiscono in bolle di sapone appena passato il clamore mediatico; vogliamo un’assunzione di responsabilità vera dalla politica e una rigorosa applicazione della Legge 199 contro lo sfruttamento lavorativo, soprattutto nella sua parte preventiva, vogliamo che i controlli siano reali e non interventi a spot insufficienti a scardinare un sistema malato e che possano anche fungere da deterrenza: nel 2024, annus horribilis per le denunce di sfruttamento, sono stati coinvolti meno di 8.000 lavoratori su un milione e circa il 2% delle aziende, non è sufficiente, si deve fare di più e di più va fatto per dare tutela ai lavoratori coinvolti nei casi di abusi a partire dalla ricollocazione e dalla concessione dei permessi di soggiorno se si tratta di lavoratori o lavoratrici straniere”.
La Flai Cgil in definitiva “come sempre è pronta a fare la sua parte, ma è necessario che istituzioni e imprese sane si assumano la loro parte di responsabilità nella lotta al contrasto di questa barbarie”.
L’articolo su Collettiva.it
Foto di Susie Burleson su Unsplash