La prima assise femminile nazionale – dall’Archivio storico “Donatella Turtura”

Settant’anni fa, il 18 e il 19 aprile del 1953, si svolse a Siena la Grande assise delle donne mezzadre,un’importante iniziativa promossa dalla Federmezzadri in risposta alla decisione assunta dal III Congresso nazionale della CGIL di avviare una campagna in preparazione della Conferenza delle Lavoratrici Italiane.

Nei tre mesi che hanno preceduto l’assise di Siena, nelle regioni dove era più diffusa la mezzadria, le commissioni femminili di lega e provinciali svolsero numerose assemblee registrando – si legge sul mensile della Federmezzadri – “una partecipazione di massa e ampiezza di dibattito […] mai prima d’ora verificatosi nelle nostre campagne”.

Alla base della convocazione di queste assise c’erano delle richieste specifiche, che riguardavano non soltanto la donne mezzadre ma anche le lavoratrici di altre categorie: dalla richiesta di una casa igienica e accogliente al rispetto dei contratti e delle leggi, soprattutto in riferimento alla Legge 860; dall’applicazione della Costituzione alla costruzione di scuole, asili e consultori pediatrici;  dalla richiesta di specifici corsi di formazione al rispetto dei trattati di pace e di amicizia tra i popoli.

Di tutte queste richiesta si componeva la “Carta della donna”, insieme all’impegno a battersi per il progresso e la rinascita contro la misera, l’ingiustizia e la schiavitù creando una salda unità con tutte le donne.

L’Unità del 16 aprile 1953 annunciava così l’evento:

“Le Assise nazionali delle donne mezzadre, che si svolgeranno a Siena, sono la prima conferenza nazionale femminile che si tiene in preparazione della Conferenza Costituente delle lavoratrici, proposta dal compagno Di Vittorio al Congresso della CGIL.

La Federmezzadri nazionale, preoccupata dalle gravi condizioni di miseria e di arretratezza delle masse contadine, ed in particolare delle donne mezzadre, ha portato avanti con slancio questa iniziativa, trovando il più ampio consenso tra tutte le donne della categoria, poiché i più elementari diritti civili, economici e sociali sono ad esse negati dal governo e dagli agrari. […]

Per avere un’idea dello sfruttamento disumano al quale sono sottoposte le mezzadre basti pensare che esse, malgrado lavorino tutto l’anno sul podere per 12-16 ore al giorno, ricevono in prodotti per il loro lavoro dalle 60 alle 200 lire giornaliere. È logico quindi che con redditi così bassi le famiglie mezzadrili sono costrette a privarsi anche dell’indispensabile.

Nel comune di Gambassi, per esempio, nella provincia di Firenze, le ragazze di una famiglia mezzadrile hanno fra tutte un unico paio di scarpe, che calzano a turno la domenica per potersi recare a messa.

E questa situazione è resa ancor più grave dalle condizioni antigieniche delle abitazioni e dalla promiscuità”.

Sempre L’Unità riporta la testimonianza di una mezzadra:

“nella mia casa vi sono due camere da letto, cinque bambini devono dormire nella stanza con i genitori, nell’altra dormono i nonni ed in condizioni tali che può crollare da un momento all’altro. Figuratevi che dal pavimento si vedono le bestie che stanno nella stalla sottostante. La mamma dei bambini è affetta da tbc e tre dei bambini sono stati contagiati”.

Lo stesso Giuseppe Di Vittorio, in un’intervista a Noi donne del 1 maggio 1953, parlerà della sua partecipazione alla conferenza, dichiarandosi profondamente commosso: “Le lavoratrici della terra hanno compiuto un formidabile passo in avanti, non solo per le conquiste che esse sono riuscite a strappare con la loro lotta, ma perché oggi esse, per denunciare le loro condizioni di vita, escono da questi abituri infetti, fanno un viaggio, parlano da una tribuna. Tutte le forze conservatrici hanno contato sempre sull’arretratezza femminile per avere un appoggio indiretto al loro dominio. Ma la marcia di queste donne oggi non può essere arrestata e costituisce la garanzia del rinnovamento d’Italia. Il volto d’Italia muterà, tutta l’Italia sarà più bella quando tutte le donne italiane, anche quelle delle campagne, saranno più sane, più serene, più belle”.

Valeria Cappucci

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