Impagliazzo, Sant’Egidio: “Il sogno? Bandire la guerra, come proponeva Luigi Sturzo”

Frida Nacinovich

Le terribili notizie che arrivano dal Medio Oriente si sommano al conflitto bellico in Ucraina in un macabro effetto domino, segnato da morti e distruzioni senza fine. Di fronte alle guerre, anche quelle dimenticate, che impestano il pianeta, chiediamo lumi a Paolo Impagliazzo, che con la Comunità di Sant’Egidio è impegnato dal 1994 in tante iniziative sociali, e collabora da più di 20 anni all’impegno di Sant’Egidio per la pace. Impagliazzo si è occupato del processo di riconciliazione in Liberia, del conflitto in Darfur, ha partecipato a diverse sessioni dei colloqui di pace di Abuja, è responsabile della sezione “Aiuti umanitari d’urgenza” e anche del dipartimento Corno d’Africa con particolare attenzione al Sudan e al Sud Sudan. Dal quattro anni è il Segretario generale della Comunità di Sant’Egidio, che non ha bisogno di presentazioni.

In questo mondo travolto da violenze indicibili, le uniche parole di pace sono quelle di Papa Francesco, che già nove anni fa denunciava la terza guerra mondiale a pezzi, i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti.

“Il Papa ha avuto una visione, alla quale non abbiamo dato sufficiente ascolto. All’epoca in tanti hanno pensato che avesse esagerato, solo ora ci rendiamo conto delle crisi internazionali che continuano a svilupparsi sotto i nostri occhi. Ci sono la guerra in Ucraina a seguito dell’invasione russa, quella in Medio Oriente, ma non dobbiamo, non possiamo dimenticare le tante altre guerre: in Siria dove c’è un conflitto infinito, irrisolto, ancora oggi attivo, così come in Yemen, il Sudan, dove abbiamo assistito alla distruzione completa della capitale. Papa Francesco aveva intuito, sapeva che ci sarebbero state tante guerre e tanta sofferenza”.

I frutti avvelenati di questo disordine mondiale sono i milioni di migranti che bussano alle porte della Fortezza Europa, fuggendo da violenze di ogni genere. Perché è così difficile oggi parlare di accoglienza e integrazione?

“I migranti non sono solo il frutto avvelenato delle guerre. C’è una mobilità planetaria, mondiale sempre molto alta, pensiamo ad esempio alla mobilità interna al continente africano. Poi ci sono le guerre e i disastri naturali, che non vanno trascurati perché la crisi climatica mette in moto situazioni insostenibili, di fronte alle quali popolazioni intere hanno la necessità di spostarsi. Purtroppo assistiamo all’utilizzo dei migranti da parte della politica come se questi uomini, donne, bambini fossero un’emergenza. Un uso martellante, distorto dall’informazione, che tende a provocare rigetto. Bisogna smettere di avere paura. Paura di un fenomeno i cui numeri, fra l’altro, raccontano un’altra storia. Se guardiamo all’intera Europa, sono circa 250mila i migranti arrivati sia attraverso il mare che lungo la rotta balcanica, in un continente che ha 450 milioni di abitanti. Però la politica crea allarmismi, mentre poco, troppo poco si fa per l’accoglienza e l’integrazione. Non si insegna l’italiano ai migranti e si parla solo di emergenza, da troppi anni. Il decreto flussi parla di un fabbisogno di 450mila lavoratori stranieri, ma ne sono arrivati solo 140mila. Perché non integrarli, invece di demonizzarli?”.

La parola pace sembra essere bandita dal dizionario della comunità internazionale. Come si può invertire la rotta e dare una speranza?

“Bisogna cambiare mentalità. Credo che si debba smettere di parlare solo con quelli che sono simili a noi, e riprendere invece il confronto con chi è diverso. Quindi restituire centralità alla diplomazia e alla politica ‘alta’, per costruire un’architettura di sicurezza, unica premessa per la pace. Un’altra considerazione da fare è che molto raramente ci mettiamo nei panni di chi la guerra la subisce. In Italia stanno scomparendo coloro che hanno vissuto la Seconda guerra mondiale, ma se li ascoltiamo ci rendiamo conto di quanti ricordi traumatici hanno interiorizzato. Metterci dalla parte di chi soffre è il punto fondamentale, se stiamo dalla loro parte l’unica conclusione a cui possiamo arrivare è che dobbiamo finirla con la guerra”.

Se tutti i finanziamenti destinati alle armi fossero dirottati all’accoglienza il mondo non sarebbe più sicuro?

“Avevamo un grande sogno, e lo abbiamo ancora. Il sogno di bandire la guerra dal nostro mondo. Luigi Sturzo aveva immaginato, nel 1929, la possibilità di bandire la guerra, un accordo fra Stati che trasformasse la guerra in uno strumento non più utilizzabile. Abbiamo abolito la schiavitù, possiamo abolire anche la guerra. C’è tutto un magistero della Chiesa che ha sottolineato questo, fin da da Papa Benedetto XV che allo scoppio della Prima guerra mondiale parlò di una inutile strage. E’ da allora che ha preso piede l’idea di abolire la guerra, di estirparla dal contesto internazionale. E di conseguenza riconvertire tutte le fabbriche che producono armi, per permettere ai lavoratori di quel settore di continuare a vivere dignitosamente. Bandire la guerra, riconvertire le fabbriche di armi, e preservare il diritto dei lavoratori a una vita che li porti ad essere strumenti di pace”.

L’Occidente sembra aver dimenticato l’importanza della diplomazia per prevenire crisi e focolai di guerra, e costruisce muri invece di ponti. Eppure non possiamo arrenderci.

“In una situazione di grave crisi come quella che stiamo vivendo è sempre più importante la diplomazia, per costruire ponti invece di muri. Solo spingendo sul dialogo e sulla diplomazia, cercando le cose che ci uniscono e mettendo da parte quelle che ci dividono, possiamo fare argine alla pestilenza della guerra”.