Fortezza Europa al voto, politiche migratorie nel caos 

Jean René Bilongo

Il tema delle migrazioni sarà uno dei temi cruciali delle prossime elezioni europee.  I governi e i partiti dei paesi Ue non hanno posizioni univoche, ne conseguono incertezza e confusione nella politica europea. Al 31 dicembre del 2020, su una popolazione complessiva di 447 milioni di abitanti, l’Ue annoverava circa 24 milioni di stranieri.   In testa la Germania con 11,5 milioni di ausländische. A seguire la Francia, l’Italia e la Spagna: ciascun paese circa 5 milioni. Il sogno della “comunitarizzazione” della politica d’immigrazione e di asilo, così come provò a tratteggiare il Consiglio Europeo di Tampere (Finlandia) 25 anni fa, sembra essersi definitivamente infranto. Sacrificato sull’altare degli interessi di bottega e degli egoismi nazionali. Da allora si è fossilizzato l’orizzonte di “un’Ue aperta, sicura, pienamente impegnata a rispettare gli obblighi della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e di altri importanti strumenti internazionali per i diritti dell’uomo, e capace di rispondere ai bisogni umanitari con la solidarietà”. Il Mediterraneo è sempre più lastricato di morti: 28mila negli ultimi anni, 8.600 solo nel 2023. Al netto dell’assurdo Regolamento di Dublino, il sogno dell’Ue di dotarsi di un approccio comunitario cozza inevitabilmente con le diverse politiche nazionali dei 27 stati membri. 

La durezza di Danimarca e Svezia: il regno danese è spesso preso a riferimento dall’estrema destra, in ragione della sua dura politica migratoria. Basti dire che i migranti che ci sbarcano si vedono confiscare ogni avere. Gli stranieri possono fare solo alcuni lavori “poveri”, previa autorizzazione. Un pugno duro che ha fatto calare drasticamente i nuovi arrivi, in un’economia che avverte fortemente la penuria di manodopera. Anche la Svezia, guidata dal governo di Ulf Kristersson, ha sposato la linea dura in materia migratoria. 

Il bisogno di lavoratori della Germania: nel 2022 la carenza di manodopera in Germania ha raggiunto l’apice, con 1,74 milioni di posizioni vacanti. A luglio 2023 ha riguardato quasi la metà delle aziende. Così il governo del cancelliere Olaf Scholz ha introdotto la “Chancenkarte” (Carta delle Opportunità), un sistema a punti per consentire ai lavoratori con le competenze richieste di venire in Germania più facilmente. Il paese, che ambisce ad attirare 400mila lavoratori all’anno, ha ammorbidito le sue ferree regole sull’immigrazione. Per ottenere il nulla osta all’ingresso è venuta meno l’obbligatorietà dell’esibizione di un regolare contratto di lavoro. 

L’opportunismo ungherese: nota per la sua deriva illiberale e l’ostracismo del suo Premier Viktor Orban e il suo partito ultraconservatore Fidesz sull’immigrazione, l’Ungheria paradossalmente agevola l’ingresso di lavoratori stranieri per il proprio tessuto produttivo. Paese di partenza di importanti flussi verso gli altri paesi Ue (circa 700mila suoi cittadini sono emigrati per lavoro), Orban deve correre ai ripari se vuole raggiungere il traguardo di mezzo milione di nuovi posti di lavoro in futuro. 

Il pragmatismo spagnolo: è il Paese europeo più vicino all’Africa, quindi è meta di flussi costanti di arrivi dall’Africa, soprattutto da Marocco, Algeria e Africa Occidentale. Poco meno di due anni fa, il governo del socialista Pedro Sanchez ha adottato in un’ampia riforma per velocizzare i tempi del rilascio del permesso di soggiorno per i richiedenti asilo. La riforma riguarda anche i lavoratori stagionali, soprattutto nell’ottica di miglioramento del welfare, in un contesto in cui imperano caporalato, sfruttamento e condizioni di vita indecorose. Gli stagionali possono chiedere un’autorizzazione al lavoro di 4 anni nel corso dei quali si può lavorare fino a un massimo di 9 mesi ogni anno, a patto che al termine della stagione si faccia temporaneamente ritorno nel paese di origine. 

La lentezza elleniche: dopo un decennio di afflusso di centinaia di migliaia di migranti, il governo guidato dal conservatore Kyriakos Mitsotakis ha provato a semplificare le procedure, anche se resta difficilissimo ottenere un titolo di soggiorno. L’iter può durare anche un anno. I richiedenti asilo vengono mandati in località remote, in attesa del vaglio della richiesta. Si tratta di centri simili a prigioni. A chi viene riconosciuto lo status di rifugiato sono immediatamente tagliati i viveri. Solo nel 2023 sono arrivati 48.560 “irregolari”in Grecia, a fronte dei 750mila che ci vivono legalmente. 

Il controverso quadro francese: nell’Esagono risiedono 7 milioni di immigrati, corrispondenti al 10,3% della popolazione totale. Di questi, 2,5 milioni, ossia il 35%, hanno acquisito la cittadinanza francese. Il 32% della popolazione con meno di 60 anni ha origini immigrate. Secondo le stime del ministero dell’Interno, i “sans papiers” oscillano tra 600 e 900mila. La riforma adottata recentemente dal Parlamento francese viene accusata dall’estrema destra di favorire la regolarizzazione dei lavoratori stranieri irregolari, mentre la sinistra la etichetta come una legge repressiva. I lavoratori senza documenti che operano in settori con carenza di personale potranno ottenere, in circostanze eccezionali, una carta di soggiorno con la qualifica di “lavoratore temporaneo” o “salariato”. Tuttavia vengono intensificate le misure punitive nei confronti di coloro che assumono lavoratori sprovvisti del titolo di soggiorno.